Un Artista "Artigiano della Tavolozza" !
Massimo è un “
DIPINTORE”, come si definisce
 lui stesso. Cosa, che mi porta immediatamente, ancor prima di 
presentarvi il personaggio in questione, a chiedergli che cosa 
significhi per lui questa particolare definizione. La risposta che 
ricevo è la seguente:
“Ho voluto riprenderla, facendo un salto nel nostro passato 
artistico di qualche secolo, in quanto, per me, il termine ha più 
attinenza con il fare pittura.Il Dipintore è colui che dipinge.
 Non pittura, ma dipinge. Sono due parole simili ma che hanno una 
profonda differenza. Il dipingere, nella mia visione, consiste 
nell’applicarsi all’arte della pittura con tutto ciò che ne consegue: 
ricerca, sofferenza, esaltazione, creare poesia, manualità, esternazione
 della propria personalità, in pratica fare dell’arte. Il pittore, 
invece, è per me legato alla persona che ricopre con della vernice 
qualsiasi cosa possa essere colorata: una parete, un cancello, uno 
steccato ecc. ecc.”.
Così facendo però, ha già svelato quella che è la sua passione: la “
Pittura” o, parafrasando il suo sostantivo, la “
Dipintura”.



Massimo, come spesso mi è già accaduto di inserire tra la serie di 
volti e nomi
 di questa mia carrellata tra i personaggi di Senigallia, non ha avuto i
 natali qui, bensì a Corinaldo (AN) il 30 gennaio 1968. Sessantottino 
dunque di nascita, non certo di indole e poi magari vi svelerò anche il 
perché. Durante la frequentazione della scuola media a Senigallia, 
presso l’istituto Marchetti, si affida alle mani del maestro, nonché 
nostro concittadino, il famoso pittore 
Giorgio Ciacci, 
che gli indica le vie più appropriate per perfezionare le varie tecniche
 pittoriche. Questo non gli “evita” però di diplomarsi all’Istituto 
Tecnico “Corinaldesi”.
Inizia a disegnare, prediligendo come tecnica il carboncino ed il 
pastello per giungere nel ’99 alla decisione di utilizzare la tecnica 
pittorica dell’olio. Nascono in questi anni i primi tentativi di mettere
 in relazione, attraverso la nuova materia, la luce con il colore. Nel 
2001 l’incontro con il maestro e pittore 
Piergiovanni Antici.
 Inizialmente come allievo, ma questa frequentazione sfocerà in 
un’amicizia e stima reciproca dando così inizio ad un continuo scambio 
di riflessioni sull’arte pittorica. Nel frattempo approfondisce lo 
studio degli effetti della grafite, mantenendo però come espressione 
artistica preferita quella della pittura ad olio.



Se solo fossi minimamente un critico d’arte, starei a spendermi nella
 ricerca di aggettivi tecnici che per loro invece sono d’uso comune. Non
 essendolo vado a porre le domande che solo l’uomo della strada, non 
certo inteso come un ignorante, zotico, popolano, ma nemmeno come uno 
che deve ogni qualvolta usare un il linguaggio da “addetto ai lavori” 
per qualsiasi argomento di cui si voglia parlare.
Io vivo di sensazioni immediate e di ripensamenti subito dopo aver visto, non scendendo a compromessi “
sul come dirlo“.
 Quello che maggiormente mi interessa è che si comprenda quello che 
provo e che vorrei si riversasse anche su chi legge.  Massimo, a mio 
parere, è l’artista che riesce a farti provare sensazioni immediate, di 
calore, di freddo, di umidità, di natura, di allegria, di malinconia.



A trasmetterti queste sensazioni sono le tonalità dei suoi colori 
che, ad onor del vero, non saprei giudicare, come ha diagnosticato un 
suo critico, se siano esattamente 13. So solo che nei suoi quadri vedo 
trasparire, sento, immagino, una ricerca certosina della precisione e 
del particolare, già nel tratto che definisce il soggetto. La stessa 
pignoleria mi sembra di ritrovarla nella stesura del colore: a volte 
sfumato quasi a renderlo come un vapore fuoriuscente dalla tela, a volte
 più deciso, come macchia posta da richiamo, perché l’occhio si soffermi
 a guardare sul particolare.  Del resto Renzi, non dimentichiamolo, è in
 primis un 
Poeta che ferma i suoi pensieri 
sulla tela e che usa al posto della penna i pennelli da “Dipintore”. 
Massimo è prevalentemente un paesaggista (e ne sono rimasti pochi) e 
quello che intende rappresentare, come ha scritto anche sul suo sito 
web, è il perfetto connubio tra Dio e l’essere umano.

Tra
 le sue opere più belle, quelle che più mi hanno toccato (ma il bello è 
sempre una cosa soggettiva) sono state: “Primavera”, per il maniacale 
lavoro di particolari nei biancospini, il non facile uso del colore 
bianco, il distacco volutamente creato a suon di sfumature tra il primo 
piano e lo sfondo. “
Senigallia, molo di levante”, anch’esso 
superbo per i particolari e per l’effetto che si ottiene fissando per 
qualche istante le onde. Sembrano ad un certo punto che esse si muovano 
realmente e vengano incontro all’osservatore. Calda, come in un tardo 
pomeriggio di agosto “Rotonda a mare” o anche “Senigallia, piazza 
Saffi”, utilizzando come tecnica quella su carta-paglia. Ma gli altri, 
mi si creda, non sono da meno. Solo che elencandoli tutti cadrei su di 
un’ovvia incensazione di cui Massimo Renzi non ha di certo alcun 
bisogno.
Anzi è il momento di far parlare anche alla tecnicità del nostro 
“Dipintore” ed allora comincio con le domande “più banali”, quale ad 
esempio
D -:
Massimo, tu come vieni colpito dall’Ispirazione ?
R -: Non ho un metodo preciso per farla arrivare. Solitamente è la 
bellezza il fattore scatenante, o ciò che intendo tale. Un paesaggio, 
una natura morta, una persona, soggetti che catturano la mia attenzione 
visiva (vedere è diverso che osservare) ed il mio sentimento. Se ritengo
 che tutto ciò appaghi il mio senso poetico, li catturo e li dipingo.
D -: 
Ho passato opera per opera ed ho notato una 
irrequietezza nei tratti nel corso del tempo. Quasi un variare del tuo 
modo di portare i tratti. Dal preciso, classico del disegnatore a quello
 dell’impressionista, del macchiaiolo. Come anche la ricerca del “su che
 cosa” fermare le opere. Ed allora: olio su tela, olio su tavola, olio 
su pannello telato, olio su cartone, tecnica mista su carta paglia, fino
 a giungere all’olio su carta paglia incollata su tavola. Per non 
dimenticare poi la carta e matita, spesso sottovalutata, ma sempre di 
difficile realizzo. Per me importante perché pone il confine tra chi 
conosce il disegno, veramente, e chi solo si atteggia e si avvicina a 
quest’arte.
R -: Quando decido di iniziare un’opera, mi focalizzo innanzitutto 
sulla sua dimensione. Una volta stabilita, scelgo il supporto sul quale 
lavorare. In questo caso la scelta avviene, per la maggiora parte delle 
volte, in modo istintivo. Pannello telato, tela, cartoncino, tavola, 
carta paglia, sono a mia disposizione e prendo quello che, in quel 
momento, sento possa meglio sposarsi con l’idea iniziale. Il pannello 
telato è una tela incollata su cartone pressato. Personalmente utilizzo 
quelle di piccolo formato. Il suo utilizzo assomiglia molto a quello 
della normale tela. L’asciugatura del colore è però più lenta e per 
effettuare i passaggi successivi, aspetto il tempo che ritengo 
necessario per riprendere il lavoro. Come accade anche per i lavori su 
tela. La carta paglia è un materiale povero e mi piace per il colore 
naturale che si adatta benissimo come sfondo. La utilizzo principalmente
 per lavori a pastello. La sua porosità consente di avere degli effetti 
cromatici interessanti. Quando invece decido di incollarla su tavola, 
non ci sono formati precisi. Vado in base alle dimensioni della tavola 
che decido di utilizzare. In questo caso, dipingo ad olio ed adoro 
lavorarci perché, a differenza della tela e del pannello telato, il 
colore viene assorbito rapidamente e mi consente un lavoro quasi 
continuo (dopo il bozzetto iniziale che, per me, deve comunque 
asciugarsi). Anche in questo caso mi piace molto l’effetto che esce 
fuori dall’incontro tra il colore ad olio e la carta paglia incollata su
 tavola. Un altro supporto su cui mi piace dipingere è la tavola o 
pannelli di legno. Anche in questo caso è la capacità del legno di 
assorbire rapidamente il colore, consentendomi di lavorarci con 
continuità. Ma, indipendentemente dal supporto utilizzato, mi piace 
pensare che il risultato finale si avvicini quanto più possibile a 
quello che per i dipintori – si noti come usi il termine senza pensarci 
su – francesi della metà dell’ottocento e per i nostri macchiaioli poi, 
era il “ton gris”. Cioè il superamento del chiaroscuro accademico con 
una visione più moderna di accostamenti cromatici tra il chiaro e lo 
scuro.
D -: 
E come decidi il formato, le dimensioni su cui fissare il soggetto?
R -: La scelta del supporto e delle sue dimensioni, non sono 
sicuramente un problema. Dipende da ciò che, in quel momento, quel 
determinato soggetto mi sta dando e lo proietto sulla superficie che 
intendo utilizzare. Costruisco così un gioco di rimandi tra la mia 
poesia e quella del soggetto dipinto su quella superficie con quelle 
dimensioni. Arrivo così al mio modo di dipingere sicuramente non di 
getto ma bensì elaborato.
D -: 
Per la risposta che hai inserito qui di seguito, la 
domanda corretta potrebbe essere – Come inizi un dipinto e quali e 
quante fasi si susseguono ?
R -: Parto sempre da un disegno preparatorio fatto sul supporto che 
poi andrò a dipingere. E’ la struttura del soggetto che elaboro e che 
fisso prima che inizi a mettere il colore. Una volta verificate le 
corrette dimensioni e proporzioni, inizio a stendere il colore come 
bozza iniziale per vedere se il mio sentimento cromatico è corretto. 
Successivamente lo riprendo e vado avanti fino al raggiungimento del 
risultato voluto. Capita, alcune volte, che possa anche modificare, in 
corso d’opera, le tonalità cromatiche per dare un equilibrio al dipinto 
che, fino a quel momento, magari, mi era sfuggito. Un’opera deve essere 
assolutamente equilibrata, inteso come unità del tutto. Come vedi, per 
me non si tratta di operare di getto ma di pensare, elaborare e 
costruire un’opera come un artigiano. E’ bello vederne l’evoluzione fino
 al risultato finale. Tra l’altro i miei tempi di lavorazione sono 
abbastanza lunghi…evviva la lentezza!
D -: 
Se ti chiedessi a che tipo di pittore, pardon, dipintore, ti senti più vicino, che cosa mi risponderesti?
R -: Potrei citarne molti: Tiziano, Bosch, El Greco, Rembrandt, 
Cezanne, Monet, Pissarro, Lega, Signorini, D’Ancona, Boldini, Cremona, 
Balthus, Morandi e tanti, tanti altri ancora. Ognuno di loro, con la 
loro precisa cifra stilistica e personalità, ci stanno ancora donando 
tantissimo con le loro opere e ciò è straordinario. Per cui non ho un 
solo dipintore al quale mi ispiro ma diversi, in quanto la dipintura (ma
 l’arte in genere) deve essere l’esternazione dell’io e del proprio 
sentimento, quindi personale e ben riconoscibile.  Ed è ciò che voglio 
fare con la mia.
A questo punto, dovrei chiederti, come ho spesso 
fatto con alcuni intervistati, se pensi che si faccia abbastanza per 
aiutare la nostra città a crescere in fatto di cultura, arte. Questo sia
 come aiuti diretti agli artisti quotati, anziani e che oramai non 
avrebbero neppure più bisogno di incentivi e quelli chiamiamoli invece 
emergenti, sia per estro che per età. Ma so che ti chiederei troppo e ti
 metterei in imbarazzo, perché il tuo carattere è quello che trasuda 
dalle tue opere. Sei un uomo buono, tranquillo, di pace, come emerge dai
 fermi immagine della natura e dalle bellezze cittadine. Allora ci provo
 io e nel finale dell’articolo.
Anche perché, vista la lunghezza del racconto, sono pochi coloro che 
leggono l’ultima parola. Però ci terrei a fare delle considerazioni 
riguardanti la nostra Amministrazione. Come avrai capito, il mio 
carattere, è meno impostato al dialogo, alla riflessione ed alla 
diplomazia. Sono un sanguigno, ma educato. Che usa più i “colpi di 
pancia” alla Caravaggio per fare un paragone pittorico. La nostra 
amministrazione, come tante altre, sembra che metta la cultura in 
secondo piano (anche terzo, quarto…) rispetto a quanto dovrebbe fare un 
assessorato tanto importante quanto, se non più di altri. La cultura, 
nelle sue varie sfaccettature, deve essere utilizzata come fulcro per 
migliorare le nostre menti ed anime, creando così una società sempre 
migliore.
Non tralasciando che, in una città votata al turismo,
 potrebbe essere anche una forma di business e di incentivo al richiamo 
di turisti e di artisti. Non voglio poi entrare nel merito dei budget 
destinati all’assessorato alla cultura, ma potrebbero essere ottenute 
delle risorse aggiuntive se solo si pensasse in maniera lungimirante con
 dei piani d’azione più coraggiosi. Anziché inserire nelle varie 
attività espositive i soliti nomi, perché non dare spazio e valorizzare 
anche giovani artisti di talento che con passione e sacrificio portano 
avanti un nuovo linguaggio e sentimento artistico. Portare la loro 
conoscenza ad un pubblico più vasto, anche al di fuori delle mura 
cittadine, coinvolgendo associazioni, sponsor (visto che le 
amministrazioni hanno le mani in pasta ovunque) creando così una 
sinergia tra i vari attori per far crescere progetti culturali di ampio 
respiro.
http://www.massimorenzi.eu/
