martedì 12 febbraio 2019
INASPETTATAMENTE .... ALL' IMPROVVISO...
mercoledì 25 aprile 2012
PIETRO RANDI... la sua testimonianza !!
lunedì 15 agosto 2011
AGOSTO CONTATO

Tra link su FB, video, commenti e note, alcune a volte anche un pò sciocche o quanto meno incomprensibili, tra esclamazioni fatte di ooo, aaa, hhhh e innumerevoli !!!!!!, questa mattina, mi sono gradevolmente imbattuto in questa poesia ferragostana del caro amico Dario Petrolati. La posto qui per il piacere di coloro, che passando di qua, volesssero gettarci sopra il loro occhio curioso e sensibile:
AGOSTO CONTATO
quel biondo bambino bello come la mamma
Concita gli respira sopra leggera tra i capelli
se fermo o in corsa e dove vanno i due non so
semplice stellare immagine di prima mattina per
un ferragosto lontano da tutto e da tutti semplice pulito
allegro come si pensa magari
arriveranno al prato di margherite dove le fate
organizzano giochi e magie per chi sa sognare
desiderare senza prendere stupirsi sempre
ha tra le labbra Concita un biondo capello pulito
del bambino rimasto a ricordo dopo un breve bacio
ecco lontana Firenze
si avvicina e traspare il Battistero che poi la mamma
spiegherà.
martedì 9 novembre 2010
dario.petrolati's blog

di Dario Petrolati
Se dovesse cercarmi
Non saprei che dirle
quale menzogna scovare
se chiedesse di me
lascerò false piste
oppure dirò la verità
questo mi turba
chè non le ho mai mentito
Tutto poi
perchè
ho sbagliato strada
sono partito prima
Giorno e luogo diverso
ci siamo cercati
senza conoscerci
solo immaginando
odore
sapore
dei nostri corpi
E' stata una avventura
manco cominciata
fantasticata sopra i pioli
di traballante scala
Successe poi
cosa non so
Mi son trovato in terra
sotto il letto del fiume.
Padova 5 novembre 2010
(racconto scordato di Salgari)
Vaghe stelle dell'orsa
Io non credea
tornarvi a rimirar...
eh no son qua
e invece di udire
immaginare
le larghe lontane terre
fatico rintracciare
radiotre
quando da essa preparato
sempre con grazia
Voci che filtrano
faticano
è spessa bianca ostile
'sta nebbia
ed anche estranea
Nulla
gracida
solo tante avemaria
incatenate prigioniere
Aspetto
fingo speranza
nulla verrà
lo sento
so
Padova notte del 5 novembre 2010
(semplice bozza)
Maria Carta
Non è portoghese
spagnola nemmeno
di più
di più
Tragico volto
liscia la pelle
labbra
capelli neri
lunghi tirati
Fugge la voce
prende il cielo e i cuori
Maria muore in piedi
mentre regala parole
preghiere per altri.
Padova 5 novembre 2010
(pensiero su Maria Carta)
Pensieri
Vuoti o pieni
che so
non importa
nè serve
Parola usata
sofferta
senza padrone
Le spinte
i nomi
persone sparse pel mondo
Forse è stato
sarà
solo fuga
Padova 5 novembre 2010
(non dico nè scrivo-aspetto)
Luci del Tempo
Soffia nella notte
indica muto
all'orecchio sinistro
posti inesistenti
Il braccio teso
verso la valle nera
ch'è solo passato
come ala
gira a sinistra
eppoi a destra
non mi perda
nulla sfugga
Passa veloce
sembra uno sguardo
il gatto nero
col topo in bocca
Non me lo dice
la saggia guida
ma ho sentito il pelo
lisciarmi
i piedi scalzi
sangue raggrumato
segnarmi a firma
nome e cognome
sulla caviglia
Parla
La Guida
ancora e sempre
chè la città non finisce mai
continua a dirmi
torri e visioni
sfoglio di corsa il libro
per tradurre
capire un poco
le affascinanti "cose"
E' stato un tragitto fondo
cominciato nei "Meridiani"
presi con lo sconto
un giorno
da Claudia
Nel tuffo delle pagine
leggere
trasparenti quasi
ho creduto vedere
capire anche fatti
dietro le mura
mentre la gente faceva la Storia
Seduti per terra
prendiamo fiato
un sorso d'acqua
mentre si leva il giorno
Almeno pare
Padova 6 novembre 2010
( a spasso con Borges )
A spasso per Padova
Per sgranchirmi
aiutare il sangue a fare un giro sino al cervello
andate e ritorni
ossigenarmi la mente
prevenire il terribile "ictus"
vigliacco sempre all'erta
Passerò sopra Ponte Molino
a caso
guidato da istinto perduto
proverò a cercare interesse
per qualche manifesto
ch'è sempre difficile
vederne di belli
sia pei colori che per le linee
Farò attenzione nel saper misurare
tempo e distanze
Ormai succede sempre più spesso
che i ritorni mi sembrano lunghi
pesanti
mal calcolati
e quelle che dovrebbero essere
saggie e profique ossigenazioni
diventano ossessive
deprimenti faticose
fughe insensate
Non ci saranno lupi
nemmeno un'avventura da incubo
nel bosco della Foresta Nera
Solo quattro passi sotto l'umido cielo patavino.
Padova 6 novembre 2010
(senza bisogno di malinconia)
martedì 15 settembre 2009
LIBRI SUL SOFA' DELLE MUSE - n.17 -


domenica 30 agosto 2009
LIBRI SUL SOFA' DELLE MUSE - 16 -

C'erano nelle colline gli utlimi spari,quelli che fuggivano dopo aver tentato l'infame dittatura e quelli che inseguivano per essere per sempre liberi.
Sfinita battaglia da cui bisognava sempre stare attenti chè bastava una pallottola vagante o un fuggitivo abbrutito per finire le giovani vite che si erano salvate.
Comincia,prosegue la caccia,ricerca di Fulvia da parte dei due giovani che pur cercandola disperatamente non riescono mai a trovarla e nessuno sapeva di lei.
Improvvisamente i due rivali in amore vengono separati in quanto Milton è catturato da una banda di vili fascisti in fuga.
Allora sempre nell'ideale di Fulvia, Giorgio sente il dovere di salvare il rivale in amore e la caccia senza farsi catturare diventa l'inverso della caccia all'uomo bensì un'ansia nascosta e doverosa di ritrovare Milton anche perchè Giorgio ancora tutta la storia d'amore di Fulvia non conosceva.
Per sapere chi aveva amato e come era stato ricambiato doveva prima salvare l'ex.rivale in amore, ora prigioniero.
Per pendii e fame , tra alberi e freddo Giorgio comincia una guerra da solo in nome di Fulvia, idea fissa e giovanile, perciò non può che tentare ed agire sempre solo, privandosi anche del cibo e tentare imprese disperate in nome di una storia pulita.
Prosegue la caccia verso il ritrovamento dell'amico che da privato il fatto diventa storia dell' animo umano, Storia di tutti.
Pare quasi follia la storia d'amore l'insistere di ritrovare Fulvia ed i simboli più o meno evidenti mescolati alla Resistenza fanno di questa storia quasi un libro assurdo complesso in cui navigano rapide figure che seppur dalla breve vita appaiono enormi nel contesto in cui ebbe a svolgersi l'avvenimento.
Alcuni grandi dell'era di Fenoglio che poi vissero oltre hanno voluto trovare nel racconto l'ultimo anello ancora mancante della catena che era iniziata con " il sentiero dei nidi di ragno", di Calvino.
Resta comunque una stupenda e sanguigna storia d'amore, forse la più bella dell' epoca, raccontata.
giovedì 30 luglio 2009
LIBRI SUL SOFA' DELLE MUSE - 15 -
Il personaggio reggente è naturalmente Philip Marlowe portato poi sullo schermo da vari grandi di Hollywood nei periodi del bianco e nero eppoi del colorato.
L'oggeto intrigante sempre in ogni dove è una pistola
ovunque abbonda anche se non appare whiscky per tutti chè l'astemia è parola inesistente
ricchezza sfrenata e donne fascinose sempre colorate
in questo triste racconto addirittura tre sono i colori dei capelli delle svanite-perfide-protagoniste :rosso nero biondo platino
Fra tanto inebriante vivere apparente l'ispettore Marlowe viene assunto per scoprire il colpevole di un intrigato assassinio commesso in alta borghesia ove la droga e le bevande sono il vincolo necessario per la giornata da sopportare
e sembra facile trovare il colpevole all'esperto rotto ad ogni avventura poliziotto privato se non subentrassero fatti e misfatti che solo il troppo denaro e la inesistente voglia di vivere ciascuno a modo suo con corruzione e sesso non tentassero deviare ogni indagine iniziata
Il vecchio colonnello ricco da sfondare anche senza guerra incarica Marlowe di scoprire portare la verità e la giustizia alla luce del sole
non sopporta la morte misteriosa della bella bugiarda maga e fata di una delle tre donne imperiture
chiuso nel suo squallido studio con la bolletta del telefono sospesa l'ispettore pensa almeno pare quando la porta a vetri si apre ed una volta la polizia corrotta l'altra un vecchio randagio supposto amico insomma è un gioco all'imbroglio contro il povero onesto Marlowe
da indagatore subisce botte in testa e finisce per essere sospettato oltre che complice anche magari il colpevole che avrebbe dovuto incatenare
regna pesante un atmosfera fatta di giochi a scacchi ove l'autore pare e forse è vero cerchi distrarsi per non pensare alla realtà di vita vera
Il titolo triste languido dal sapore di sangue ed amoroso pare pezzo di verso tronco
vero che "il lungo addio" potrebbe essere estrapolato da un fatto di amore finito senza conoscere la ragione
Si sente come se dietro ad un supposto bianco telone di schermo stesse sempre per cambiare scena ed arrivare la morte da una pistola scarica mentre la droga e l'alcool sono il rifugio perenne nei momenti di sconforto sia dell'ispettore che dell'autore del racconto lungo
pare vendetta mitologica sempre attesa il rifugio nell'alcool quando non si riesce a stare in piedi mentalmente
anche se il proibizionismo è apparentemente cessato la debolezza mista a paura generica regna sovrana solo per giustificare e distruggere anche e magari solo l'apparente
dopo avventure statiche sparizioni logiche pare alla fine quasi Marlowe trionfare e riscuotere la parcella dovuta
ed invece c'è ancora uno scatto improvviso un ribaltamento di personaggi persone chè il povero sempre in canna ispettore si accorge di essere stato solo turlupinato serviva uno qualsiasi per capro espiatorio e la forza del danaro aveva puntato su lui
Chandler Marlowe si accorge dell'inganno cosa significa il sogno la parola amico e forse affoga per non pensare credendo risolvere ogni riflessione nella bottiglia sua amica riflettendo su versi che ruotano attorno alla solitudine el'aggettivo "lungo" gli percuote dentro come significasse la fine di tutto quasi che il nulla fosse sempre esistito
la parola addio risuona triste e presaga anche sulla sorte che attende l'autore del romanzo e più volte la ripete come poi farà per rafforzare anche " addio mia amata"
addio vuol dire solitudine tristezza
e dopo l'addio arriva solo la fine
Credo personalmente che l'epoca e la cultura degli anni venti sino ai fatti di Corea abbiano lasciato le più sensibili anime sia nel campo letterario che dell'arte in genere un segno indifferente come ferita irreparabile
Difficile separare " Belli e Dannati" dal loro autore impossibile e crudele definire romanziere Raymond Chandler-
uomini che sentirono senza aiuto alcuno furono disperatamente soli e la cultura innata il loro esprimersi somiglia a versi di certe tragedie elisabettiane anche se in costumi differenti
resta "il lungo addio" testimonianza valida con troppi perchè e l'autore sente come poeta l'indifferenza della vita
Ho trovato tragico e sempre affascinante questo racconto lungo in uno alla esistenza dell'autore.
mercoledì 15 luglio 2009
LIBRI SUL SOFA' DELLE MUSE - 14 -

Questo romanzo è considerato da scrittori e critici anglofoni come il migliore prodotto nel campo della narrativa americana. Anche da James e Dreiser - questo ultimo considerato l'inventore della narrativa americana col suo capolavoro " Un posto al sole" od anche "Una tragedia americana" un doppio titolo per raccontare il grigio della provincia del nuovo mondo. Personalmente forse influenzato dai bei volti di Redford o Alan Ladd, sempre col braccialetto d'oro al polso sinistro, subisco complice, l'epoca, i gesti ed il camminare anche, sempre elegante e profumato. Il romanzo altro non è che l'autobiografia dello stesso autore: storia tragica, prigioniera di alcool, droghe, bellissime facili donne, folli come la sua Zelda. Senza ostacoli i giorni, sempre bramosia di tutto, senza capire cosa. Tutto il racconto è in caduta insistente, forte, peccaminosa. Partenze ed arrivi senza traguardi. L'accaduto viene raccontato dal co-protagonista Nik, che altro non è che la coscienza inebetita dello splendido Gatsby. Sempre c'è pausa, attesa, guardando il nulla sotto accecata luce. Sempre si parla e solo parole non fatti o cose. L'essere-apparire, con la ricchezza sfacciata di dubbie origini, fumare lunghe sigarette sottili, ubriacarsi con miste bevande sui bordi di piscine ove si nuota e fa il bagno anche vestiti e con cappelli di panama indosso, scambi di coppie senza forse accorgersi oppure complici guide veloci di fuoriserie, vestiti senza tasche, tanto chi paga mai si sa o dice. Belli, tutti bellissimi, sempre giovani con odore del sole brillante e ridere senza problemi esistenziali, anche incapaci da risolvere semmai. Tutto è proibito, tutto si fa. Si spara un colpo secco, si muore come per finta e solo d'estate, mai la vecchiaia appare, c'è la bella gioventù e la morte forse esiste scomparendo, anche se violenta. Esagerato, affascinante, col cervello usurato da droghe profumate, inimmaginabili coiti, chè importante è vedere toccare il biondo, il bello. Il resto manco si immagina come servitù nascosta in ombra, con la morte addosso incollata sulla schiena. Dopo la logica vendetta per cui muore assassinato, Gatsby, al suo funerale, pare solo un ubriacone antico venuto di lontano che piano commenta: "eppure c'era sempre tanta gente prima". Nik alter ego di Gatsby si lascia andare sul prato vuoto e pensa, almeno sembra. La vita, l' esistenza, la consumata morte, tutto si conclude come in un eterno addio dubbioso e senza convinzione. L'assoluzione, la ricerca, il sapere cosa non si sa, forse la morte quando essa giunge, mai ci si incontra. Mai la stessa strada, lo stesso momento, vita e morte hanno sempre diversi percorsi, quei-questi pensieri forse aveva Nik, era la stagione del proibizionismo che durò finchè durò, quando tutto cessò allora si tornò a casa dove non si sa. Dopo più in là nel tempo arriverà la guerra, quella che non si vede ma si presagisce e nel mondo moriranno tutti. Quando l'America si sveglia, morde. E' questo il Grande Gatsby, morale senza perchè, che pare anche una grande fuga da una realtà, solo forse immaginata, seppur sofferta.
martedì 30 giugno 2009
LIBRI SUL SOFA' DELLE MUSE - 13 -


lunedì 15 giugno 2009
LIBRI SUL SOFA' DELLE MUSE - 12 -


sabato 30 maggio 2009
LIBRI SUL SOFA' DELLE MUSE - 11 -

Questo libriccino edito dall'Einaudi nel 97 me lo trovo sempre accanto. Fa parte della Collana Gli Stuzzi e porta il numero 487. Al pubblico costava lire 16.000. Io l'ho rubato letteralmente ad una Festa dell'Unità. Quando lavoro negli stands che organizzo tutti gli anni ho un sistema mio particolare nel disporre i libri. I compagni mi prestano enormi spazi ove io possa dividere e suddividere i sempre amati libri oltre a manifesti e quadri fuori commercio che durante l'anno mi perito andare in cerca. Foto in bianco e nero e quanto altro possa rendere il salone bello e di più anche come se per 15 giorni fosse casa mia. Un salotto che mi fa stare teso e digiuno sempre con gli occhi rivolti a chi posa le mani magari sudate sulle copertine. Così ogni estate da un paese all'altro per 2 mesi tutti gli anni mi dono ripagato da enorme soddisfazione mentale. E questa prefazione serve anche per giustificare l'appropriazione indebita che ho commesso senza sentirmi peccatore o ladro. "La Parola Ebreo" è stato pensato e scritto da quella raffinata mente che ha nome : Rosetta Loy. Eretta e bella anche per gli anni che sa indossare con educata classe Rosetta seppure romana di nascita e cultura insiste nei ricordi in lunghi percorsi di memoria con leggerezza come se invece di tragedie toccasse petali di fiori. Insiste come solo può fare chi professa una fede ancorata alla educazione che per principi lega la nostra bella Costituzione sempre difesa e portata ad esempio contro ogni violenza percorrendo viottoli e strade sempre a difesa della memoria. Chi non ricorda resta poi senza futuro qualunque possa essere. Chi non ricorda perde il sapore dell'infanzia dei tempi passati sui prati ad osservare anche la natura che sempre ci circonda e bisogna saper difendere oltre che amare. Nata ed educata in una famiglia profondamente borghese e cattolica Rosetta confessa senza remore che verso il mezzo della vita sentì il fascino della cultura laica e con intelligenza pudica volle immergersi nel nuovo credo. Guidata sempre da una cultura alta passa dai grandi pensatori europei agli uomini che poi dettero la vita chè carpiti dal dubbio non poterono o seppero dare risposte. Si vede sempre e sente anche la sua infanzia senza volgarità o urla. La educatrice assunta dalla famiglia che pure insegna lingue estere ha influito positivamente negli anni e per lo sviluppo mentale della bambina che poi divenne signorina e donna da ascoltare. Dietro al mondo che vede e sente si respira la cultura proveniente dalla religione ebraica se ne subisce il fascino ma il vero principe del libro senza nominarlo mai altro non è che ogni incontro con i libri. Si sente la fame di conoscere del cercare trovare per sapere. Se non si ama la lettura se non si ha dimestichezza con le pagine stampate allora non possono avvenire incontri che solo in certi particolari momenti avvengono. Come il treno che passa solo una volta senza libri sete di conoscere ogni incontro sarà solo impossibile. Ho chiuso l'ultima paginetta di questo profondo stupendo libriccino con un sospiro lungo pieno di un rimpianto vago come se non sapessi più dove andare poi. Personalmente vado spesso alla caccia lieve di quanto scrive Rosetta Loy chè ogni volta mi fa pensare a lungo sui valori esistenziali. Pensieri profondi con allusioni distribuite sulla tavola dello studio.
Lo consiglio a chi non ha tempo da perdere. E' un investimento culturale di alto valore.
venerdì 15 maggio 2009
LIBRI SUL SOFA' DELLE MUSE - n.10 -


giovedì 30 aprile 2009
LIBRI SUL SOFA' DELLE MUSE - n. 9 -


Stampato nel giugno 2006 mi è stato regalato la sera del 20 dicembre dell'anno 2006.
Porta una tonda dedica di ragazza che con la mano sinistra quella sera scrisse "A Dario, per poter approfondire la sua passione sulla bellissima Tina " e sotto, dopo il bollo SIAE, senza virgola, MARIA
Nessun altro aggettivo o fronzoli come d' uso faccio io.
L'ultima di copertina è colorata rosa, colma zeppa di righe ove succintamente il curatore parla della consulta vita - torrida della generosa friulana, che di nome si chiamava Assunta come le terrone o le figlie dei poveri.
Davanti appare un volto bello di donna mesta, in fotografia color seppia e senza tanti fronzoli, di tre quarti, sembra indifferente, pensosa ed anche abituata esser guardata e non solo.
La vita di Tina che ho in mano è stata relazionata da Pino Cacucci e quando Maria parlava rapidissima, mi faceva la dedica, raccontava tutta la verità, solo si bloccò, quando le dissi di non sapere chi fosse e l'autore di cui parlava con tanta familiarità.
Stemmo attaccati come insegnante ed alunno, io e Maria che non si fermava mai quasi un regalo che valeva doppio.
Non mi distrassi un attimo ma tante erano le parole e l'entusiasmo e la giovanissima età che quasi mi vergognai per la mia ignoranza.
Chiamai in soccorso due vecchissimi compagni dalla stanza accanto, chè loro sapevano per forza, dovevano sapere dell'Internazionale, della Guerra di Spagna, rivoluzione perenne in Messico e la caccia senza sosta da sempre ai socialisti ed ai comunisti di tutto il mondo che sempre i capitalisti USA hanno per vizio.
Nulla da fare, loro erano stati compagni sempre, ma solo in Italia e della vita turbolenta intelligente della Modotti sapevano per sentito dire e si staccarono dalla lezione di Maria.
Mi ricordai allora, mentre bevevo dalla sua bocca sincera, delle tante mostre fotografiche tenute a Padova dalle giunte di sinistra.
Avevo a mente il libro strenna distribuito ad una Festa dell'Unità
Tutte foto giganti in bianco e nero con la vita della Modotti e le foto storiche che fece in giro pel mondo ove predicò la lotta proletaria e fissò immagini rimaste simbolo che gridano all'uguaglianza.
Quella ragazza di nome Assunta-chiamata, ricercata come Tina, evangelizzò la ricca mecca del cinema americano allora agli albori, amò-amata guerriglieri-patrioti artisti e tra la morte che sempre le passò vicino suscitò passioni di potenti e dubitabili politici di livello internazionale.
Imparò, imparò quanta ingiustizia sia sparsa per il mondo e le deboli infarinature del padre socialista soccombettero sino a diventare rappresentate del movimento comunista internazionale.
L'uomo fisso che le visse sempre accanto e fu anche il duro che non si commosse per la tragica fine della ragazza sempre fedele ad ideali proletari Vittorio Vidali di Trieste, credette plagiarla.
Ma oltre ad essere altruista-generosa combattente ad un dato punto Tina ebbe dei dubbi e forse li esternò.
Morì ancor giovane ed il suo corpo fu rinvenuto in un taxi a Città del Messico nel 1942.
Morta d'infarto dissero senza tante storie e dubbio alcuno.
Poeti come Rafael Alberti dedicarono poesie ed anche sulla pietra tombale risultano i versi della generosa italiana morta per ideali di giustizia.
Maria, che ora vive tra i Baschi, quella sera mi contò che l'autopsia cui sottoposero i resti della gloriosa Tina, a distanza di tanti anni dettero un altro responso.
Bisogna sapere che la nostra eroina stava aderendo al movimento anarchico internazionale e da Mosca arrivò l'ordine che non si poteva disubbidire al padre Stalin.
Stricnina, niente altro che stricnina, fermò il cuore della donna che aveva dato troppo apertamente oltre se stessa.
Il dubbio e la disubbidienza causarono la sua fine.
Morta tradita dai potenti per i cui ideali credeva avere sempre combattuto.
Poeti e scrittori e artisti seppero la verità ed onorarono almeno la sua memoria.
martedì 14 aprile 2009
LIBRI SUL SOFA' DELLE MUSE - n. 8 -

Ho sempre amato Vittorini come uomo, per il suo impegno politico, la stazza fisica ed i capelli corti, naso sottile quasi aquilino ed il silenzio che sempre quasi sorridente lo ha circondato senza dolersi quasi irridente nei riguardi della esistenza che pure non fu facile manco per lui.
Faceva, scriveva, pensava da puro greco, come figura immaginata nei versi di Quasimodo.
Visse alla corte del principe degli editori e di lui, oltre la dura stima, condizionò anche il pensiero alto, nella mente ove nel dopo guerra sbocciarono le più belle intelligenze che sotto la dittatura erano state umiliate.
Vittorini aveva uno stile di scrittura che quasi pareva leggere in versi la sua prosa ove posponeva verbi a soggetti e donava un piacere esotico assaporare i suoi racconti che brevi o lunghi pareva avessero ombre antiche, quasi coperte da mitica favola per grandi alla ricerca di quiete e verità.
Queste 156 paginette non so dove comprai, sono racchiuse teneramente da una copertina leggera e povera quasi celeste scolorito, erano nell'intenzione dell'editore (allora il nobile Valentino Bompiani ) opere brevi di varia letteratura.
"Il Sempione strizza l'occhio al Frejus" fu il primo volume di tale collana, finito di stampare il sette settembre del 1948 presso la Cromotipia Sormani in Milano.
Si era da poco messo in proprio il Bompiani, aveva fatto gavetta da Mondadori, volle e ci riuscì, scegliere secondo la propria cultura, sorretta da innato istinto, creare un sito ove si potesse sentire -odorare il sapore di terre mitiche e tra loro quasi inventate. Le collane che nacquero sotto il suo indirizzo sono state ricche e nobili d'aspetto quasi come oggi appaiono i Sellerio ed anche gli Adelphi, contenuti finissimi raccolti in copertine dai colori pastello che quasi si teme toccare temendo ungere o piegare tanto appaiono nella loro delicatezza.
Il libriccino su cui si dovrebbe disquisire, nel suo evolversi pare narri la storia di poveri che vivevano in periferia della Milano che stava rialzandosi dopo la sconfitta ed i bombardamenti dell'ultima guerra.
E' la storia semplice, senza luci, di gente che mangia una volta al giorno ed a volte finge di mangiare, tanta è la miseria, il nulla umile scordato .
Parlano tutti in cucina, mentre la madre conta i soldi che porta a casa il sabato, l'unico che lavora.
Tace ma il suo silenzio pesa come la mole fisica, solo il nonno, sempre chiamato e raffrontato ad un elefante che ha lavorato ovunque, fatto mestieri mitici e pesanti si da divenire simile ai pachidermi che annunciano l'arrivo del circo in città.
Gallerie e montagne, ferro piegato a mano senza attrezzi di quelli che usano i carpentieri, tutto pare esagerato, ma silenzioso, col sapore dell'erba di Lambrate non ancora divorata dal progresso, che in verità avrà altro nome quando i ricchi saranno sempre più ricchi ed i poveri troppo esigenti.
Non c'è azione avventura nel racconto, in silenzio come predestinato, il nonno enorme si alzerà per inoltrarsi nel bosco povero che circonda la casa di periferia.
domenica 29 marzo 2009
LIBRI SUL SOFA' DELLE MUSE - n. 7 -

La storia che lo scrittore triestino narra è semplice e complessa contemporaneamente. Risorge sempre il mito di Orfeo ed Euridice. Laicamente quasi un gioco mitologico pare racconto vero inventato spiato. E' descritto un amore totale e fallito-unione struggente e rifiutata. Lei nel buio aspetta, forte, aggiusta, suggerisce, perdona, guida il suo uomo. Amore sperduto che vaga e cerca che senza parlare lei sempre capisce e perdona anche il peccato non ancora commesso, ma che arriverà di certo conoscendo l' indole dell'uomo che sempre giurava amore. Seppure tradita sa perdonare continuamente come solo chi sa concepire vero amore quasi da madre, sorella, femmina, necessaria chè senza Euridice l' Orfeo sarebbe stato solo cantore mitologico e non avrebbe commosso alcuno. Sempre disposta al perdono quasi non servisse ad altro, che invece sa dove ha dimenticato l' oggetto per casa, non lacrima Lui, l' autore, immedesimato nella figura mitologica , ma lei la sua Euridice sempre sa e prevede per non far soffrire l'uomo che le rende visita cercando anche semmai di riportarla alla vita , fuori ove trascorsero giorni di luce. Credo che Magris con questo lungo raccontino abbia fatto un ' autoanalisi della sua personalità, ed anche se a mezzo del suo perduto amore fa risaltare i propri difetti quasi sino a rendersi ridicolo. Tuttavia la nostalgia e la debolezza maschile paiono anche evidenti esigenze, bugie, bisogni che l' uomo nella sua natura non sa nascondere. Tutto appare perduto-finito anche se lei sa già che all' uscita dell' antro egli si consolerà leggendo, scrivendo, contando anche tra le braccia di un nuovo giovane amore. Ma lei perdona chè nella sua natura donare, completare, aiutare l' uomo che senza lei sarebbe perduto. E quando ancora insiste a parole, Orfeo-Magris, nel voler convincere ad un impossibile ritorno alla vita, lei-Euridice, lo consola accompagnandolo fuori con parole di donna innamorata. Ma sa fermarsi e spinge dolcemente a nuova avventura l' amato traditore che sa più debole e bisognoso di cure, scuse, serenità. Ella sa che Orfeo cercherà felicità ancora, forse illuso o ingenuo come bambino. La luce a lei vietata aspetta l' uomo che non si gira, conosce la maledizione appesa al destino, piuttosto che pietra, la ricorderà dolente si ma sempre come donna viva. E' così con un addio non pronunciato ma inteso che Magris forse intende rendere omaggio alla moglie perduta da poco. Questo libro d'amore lo consiglio davvero. Fa pensare e misurare la differenza esistenziale tra uomo e donna.
lunedì 16 marzo 2009
LIBRI SUL SOFA' DELLE MUSE - n. 6 -

Ho ritrovato Il Sipario Ducale che Volponi scrisse ,dedicando a Guido Piovene,nel lontano 75.
Libro trascurato forse dallo stesso autore, eppure dalla prima lettura che feci nella bella edizione Einaudi ricordo di aver subito provato un senso di paura e fastidio mentale, la ragione forse solo pel periodo trattato.
Geograficamente appare ancora quel tempo oscuro violento fatto di cortei bombe servizi segreti tradimenti e morti oscuri innocenti mescolati tutti col sapore di zolfo e odore di carne bruciata o sparita.
Quanti, il numero esatto mai si saprà.
Ci sono paesi e città sfiorate grigie fatte di piccole donne che in case vecchie preparano piatti di minestra calda, semplice, nella paura della eterna fuga dopo la strage le morti negate a uomini con nomi falsi forse complici ed autori della caduta "Vecchia Repubblica" costata ed ora negata.
Volponi, pare quasi non suo questo pensare ed agire, ci porta attraverso nomi di grandi città e passa per Fossombrone, Pesaro e piccoli luoghi che quasi per civetteria ci espone chè lui conosce essendo rimasto nell' anima marchigiano e di Urbino sempre fissa nella mente come se fosse madre nutriente.
Gli studenti che corrono su e giù per antiche vie e risa e grida e pizza ed una bevuta allegra in compagnia.
Riprende il viaggio la macchina grigia fatta anche di giudici e testimoni per andare arrivare in Catanzaro.
Città dolente in quegli anni che ogni volta ci appare un volto e tante sbarre in ferro per racchiudere assassini-filosofi del terrorismo, pentiti per ottenere sconti di pena.
Mai che si fermi la vettura a fare benzina è sempre in corsa come lepre fuggitiva che sente l' ombra del cacciatore toglierle la vita.
Appare anche - sempre in TV con servizi speciali smentite e giuramenti quella Catanzaro che pare fatta solo per l'esilio e dura la lotta subdola da nord a sud complici divise che avrebbero dovuto proteggere garantire.
E se fermo lo sguardo in copertina vedo due porte ed un locale squallido, una sedia vuota uno spicchio di tavolo rotondo, nulla chè il dramma o la commedia sia finita o stia per iniziare questo non si sa, è il sipario ove la storia dell' Italia minima ha svolto giorni dell'ira lasciando vincitori e vinti in pausa di riflessione dopo tanto rumore e sangue.
Non so perchè Volponi abbia pensato a Piovene nella dedica, forse ha voluto mostrare all' autore di Viaggio in Italia le spalle - il retro di quanto lo stesso paese può gettare ma che tiene nascosto per falso pudore o vigliaccheria.
Ecco forse la chiave di lettura potrebbe trovarsi anche quì: le due Italie.
Stessi luoghi morbidi paesaggi per l'autore vicentino che il marchigiano Volponi scopre in altri giorni come terra ove tremende vendette si sono succedute.
Rimane dentro lo stomaco la memoria delle grida dei pianti sconsolati allora spiace che l' anime di coloro che sono spariti nella follia feroce non abbiamo mai più avuto giustizia.
E Catanzaro ha concluso il suo compito lasciando oblio ormai che tutto avvolge.
Qualche lapide sparuta date gente frettolosa.
A Bologna come Milano una volta all'anno ci sono cerimonie bandiere ed un palco ove ancora si grida giustizia.
Fu quello un periodo che sconvolse l' intero globo, a scadenze in tante nazioni ci furono capovolgimenti totali e sanguinosi,
Grecia dei colonnelli, Argentina e Messico ed altri , tanti,furono i luoghi ove parve un impazzimento generale.
Leggere il Sipario Ducale riporta alla memoria avvenimenti che volevamo scordati.
sabato 14 febbraio 2009
LIBRI SUL SOFA' DELLE MUSE - n. 4 -

di Dario Petrolati
D' estate, molti anni or sono, bighellonavo sotto il sole agostano lungo il Corso due Giugno, a Senigallia.
Come per caso o predestinato, all' altezza della Libreria Sapere il signor Rodolfo Colocci mi chiamò.
Non avendo confidenza restai fermo impalato in mezzo alla strada vuota, dopo poco o molto, ora non posso ricordare, il signor Colocci mi tese un libro in regalo, così come si dice buon giorno o arrivederci, con gioia ed emozione.
Era una edizione mai vista con copertina rosa confetto fatta in economia.
Il famoso libraio, mi spiegò che aveva quell' unica edizione, sempre nascosta, chè durante il regime era l' autore ed il libro in particolare, severamente vietato.
L'editore : Bietti, l'autore Jack London, il titolo, Il Tallone di Ferro.
Era un libro dall' aspetto veramente economico fabbricato con carta povera e privo d' aria, si vedeva ad occhio nudo che era stato sempre nascosto, in ombra.
Il signor Colocci mi spiegò che era la storia ed il pensiero politico sociale dello scrittore americano da lui più amato.
E Jack London che io conoscevo per autore di libri d' avventure divenne allora e da quei lontani giorni d' agosto, un qualcosa di intelligente-sofferto, politicamente inimmaginabile, una coscienza ribelle-inquieta che sempre lottò per la liberazione degli sfruttati , la mai raggiunta uguaglianza tra le classi sociali.
Ebbe London una vita avventurosa sempre imprigionata ad ideali socialisti che all' epoca in cui fu scritto Il Tallone di Ferro suscitò clamori per l' arditezza del soggetto e la parte non nascosta per cui protendeva lo scrittore
Pare che Lenin e gli altri artefici della Rivoluzione di Ottobre fossero molto attirati dallo stile ed il così detto contenuto dell'opera.
Trattasi quasi di autobiografia poco romanzata bensì gridata tra folle di minatori logicamente sfruttati ed istintivamente ribelli al despota padrone.
London scrisse tantissimo, sempre finchè visse, e solo 40 anni durò la sua avventura terrena, teneva una media di circa 2.000-duemila parole quotidiane.
In mare, ove visse giorni inquieti, ma sempre volti al pensiero di lotte dure-ferrose per la parità di classi, e lungo gli sguardi di terre lontane tra venti che ricordano anche Melville, pare abbia subito , forse inconsciamente, la malattia che lo disfece così presto.
Ho fatto rilegare Il Tallone di Ferro presso i frati dell' Abazia di Praglia, gli stessi che hanno salvato i tesori di Firenze e Venezia dopo le grandi alluvioni, ora ha una robusta copertina marrone simil pelle con i caratteri dorati, ma dentro è rimasto tutto il libro originale con la buffa quasi copertina della Bietti, qualche scarabocchio a matita per evidenziare passi che m' interessavano.
Credo sia una storia da conservare non tra la narrativa, ma da posare tra libri di storia vissuta, politica, ove deve trovarsi anche, se non erro, Martin Eden, chè Jack London per sempre combattè e perse fisicamente una lunga fuggevole battaglia contro le ingiustizie che agli angoli del mondo governano i destini dell'umanità.
FOTO (tratta dal web): Jack London