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domenica 1 febbraio 2015

Le certificazioni, i certificati, i certificanti, i certificandi ed alla fine una qualità che non sempre c'è : Seconda parte

e pensare che per soddisfare quest'ultima sarebbero sufficienti solo gli ingredienti che usavano i nostri nonni.

Ci eravamo lasciati nella puntata precedente, con le mani nella pasta di cellulosa riciclata, con il timore – e qui lo dico sorridendo – vista la remota possibilità, di contrarre il saturnismo. Un rischio limitato quindi, ma che si dovrebbe correre poi, per quale motivo? Per inquinare meno? O forse per spendere di meno? Magari rischiando di più in salute? Ma noooo, impossibile!
E questo Noooo convinto, spesso è dettato dal fatto che la pubblicità oggigiorno ci perseguita assillandoci e nel contempo rassicurandoci, con l’inculcarci che ci sono un’infinità di controlli sulle produzioni. Controlli che garantiscono sia la sicurezza del prodotto che la sua “certificata” qualità.
Io, comunque userei più il condizionale, quando si parla di controlli. Infatti bisogna anche pensare che questi vengono assicurati da regole nazionali, quando non sono europee, fintanto che non arrivano a scomodare quelle mondiali, attraverso quegli attestati cartacei che sono chiamati “Certificazioni”. Un po’ come i “Comandamenti”, giusti, ma non sempre (quasi mai!) totalmente rispettati dai cristiani!
Sicuramente sono vantaggiose (sempre se rispettate!), ma in principal modo e primariamente per chi esercita questa tipologia di esaminatori e controllori di questo sistema.
Di conseguenza, questi Istituti Certificanti non essendo opere di beneficenza e dovendo vivere, giustamente, con degli utili aziendali, applicano delle parcelle, che per uno scarica barile commerciale, alla fine vengono riversati dalle ditte produttrici sulle spalle di noi consumatori. Alla faccia dell’economicità!
E qui vien non da sorridere, attenzione, ma sbellicarsi dalle risa.
Semplicemente perchè queste certificazioni, va detto, non sono sempre obbligatorie e proprio per questo motivo, risultano più come un fattore di “orgoglio aziendale” per il titolare, che per una effettiva necessità nei processi lavorativi.
Per chi è soggetto invece a concorrere in appalti pubblici, a partire da determinati importi, la musica cambia. Ci sono infatti certificazioni obbligatorie da conseguire, che vengono rilasciate da organismi di attestazione a loro volta autorizzati.
Ma anche in questi casi, se si pensa alla fine ingloriosa in aule di tribunale in cui terminano certi appalti, ditemi voi, uno è o non è legittimato ad essere assalito da qualche dubbio?
Ripensandoci a bocce ferme, certe cose ti fanno allora veramente arrabbiare e neppure poco.
Si, non poco, perchè è una tesi oramai entrata nell’uso comune, che se spendi di più, di contropartita dovresti avere anche qualche cosa in più, che invece non sempre hai e che spesso ti accorgi di non aver ricevuto, purtroppo, solo dopo l’acquisto e magari a garanzia scaduta.
Una volta, ricordo e credo che non sia più in uso, con le maioliche, i mattoni, i marmi, gli elettrodomestici, come per altri prodotti, c’erano le prime scelte, le seconde ed a volte delle terze. Piccole imperfezioni visive sulle verniciature o falli similari che non comportavano assolutamente difetti funzionali. Queste leggere imperfezioni, “assicuravano” però, degli sconti interessanti sul prodotto. Oggi invece c’è un solo unico prodotto, garantito, senza pecche e senza falli, indistruttibile, solo perchè impecettato dalle etichette che attestano i controlli a cui è stato sottoposto.
Ad esempio, come nella carta, anche nelle materie plastiche si usa in modo massiccio il riciclo. I pezzi tecnicamente mal riusciti, vengono rimacinati, e fusi nuovamente con granuli di materiale e di coloranti vergini. Anche qui ci sono controlli sulle percentuali di macinato da rispettare. O meglio ci dovrebbero. Ma il dio quattrino la fa da padrone. Il macinato costa meno, molto meno ed allora le quantità aumentano, aumentando l’utile. E chi controlla?? Il personale incaricato della qualità, ma anch’esso dipendente della stessa ditta produttrice. Ed ecco infatti che si possono verificare e più spesso di quello che non si pensi, inconvenienti sulla mutazione della colorazione nei materiali plastici.
Elettrodomestico ingiallitoSpecialmente sulle lavorazioni degli accessori plastici dell’industria del “bianco”. Con il passar del tempo questi particolari in plastica, montati sugli elettrodomestici, sono soggetti alla mutazione della colorazione; ed il bianco originale assume una pigmentazione gialliccia e neppure uniforme, sullo stesso prodotto. Ciò non avviene di certo il giorno dopo l’acquisto, ma solitamente, guarda caso, a garanzia scaduta. E questo in barba al controllo della “Total Quality”, delle Certificazioni e dei Controlli successivi che i certificanti fanno per assicurarsi che i metodi richiesti nelle regole di certificazione siano rispettati.
Elettrodomestico non ingiallitoCome clienti, allora dovremmo porci solo una domanda. Ma se queste certificazioni non sono obbligatorie e sono principalmente solo un motivo di orgoglio da esporre in bella evidenza sulla carta intestata dell’Azienda, una volta ottenutolo, perchè dovrebbero sottostare a determinate regole?
Ed a sua volta, il controllore, perchè dovrebbe bocciare quell’Azienda che puntualmente lo paga per sentirsi avallare, di tanto in tanto, che tutto va bene Madama la Marchesa ed i suoi prodotti qualitativamente rispettano le “utopiche” regole?
Infatti, solitamente, prima di un controllo, telefonano educatamente per avvisare dell’arrivo. Non si va in casa di altri senza annunciarsi prima, ed è monsignor Della Casa a consigliarlo. Al più, dopo l’ispezione, si fa una lista delle cose da rivedere, fissando un nuovo incontro più in là nel tempo per accertarsi che le modifiche sono state apportate. Un benevolo esame di riparazione!
E la merce evasa? E’ evasa ormai, con la speranza che la buona fortuna l’assista e unitamente alla merce anche l’acquirente.
Oggi tutti i grandi marchi, tutte le primarie aziende, fanno incetta di queste certificazioni che sono figlie di genitori che rispondono ai nomi di UNI, ISO, UNI EN ISO 9000 ed ancora sigle e numeri che ne indicano continui aggiornamenti.
Certificazioni che richiedono, o meglio dovrebbero richiedere, un insieme di procedure e regole che creino un sistema di comportamenti e verifiche tali da garantire sia al produttore che alla clientela, che i prodotti soddisfino totalmente a livello qualità e sicurezza.
Di conseguenza tutte le etichette dovrebbero offrire al consumatore, che quanto promesso dal produttore corrisponde al vero.
E qui comincierebbero già le prime risate.
Prendiamo le auto. Ogni fabbrica, ha oggi, il così detto controllo del sistema qualità e moltissimi modelli, da queste sfornati dalle line di montaggio, sono state ritirate (non qualche decina, ma in milioni di esemplari!), per vari problemini. Chi per inconvenienti al sistema frenante, chi per quelli all’airbag, o al bloccaggio sedili, o al piantone dello sterzo, o ai tergicristalli, ai motorini di avviamento ecc. E da osservare anche il fatto che questi Inconvenienti, queste Fabbriche e questi sistemi di certificazione di qualità, puttacaso, quasi tutti coabitano con il Paese che ha inventato la “Total Quality”: il Giappone
E questo sta ad indicare che il Controllo Qualità è andato a farsi benedire, che i controlli o non ci sono stati, o se sono stati fatti non lo si è fatto in modo adeguato, non rispettando le procedure e che comunque quelle etichette, quelle certificazioni sono solo ed esclusivamente dei pezzi di carta che garantiscono ben poco.
Attestati come quello del mio diploma di ragioneria, utile a soddisfare l’orgoglio dei miei genitori, ma non certo a garantire la qualità della mia professionalità in campo contabile. Eppure i manager di queste concessionarie di fumo, hanno sempre la risposta pronta, mutando da negativi in positivi anche questi inconvenienti ingiustificabili per qualsiasi artigiano, giustificando che la bontà della certificazione sta anche nel fatto che attraverso le regole da loro dettate si è potuti risalire al perchè dell’inconveniente, al numero del lotto, alle matricole delle auto difettate, alla possibilità del richiamo del prodotto difettoso ed alla sua riparazione. Manca solo che pretendano una medaglia al valore civile, nel caso delle auto, per aver evitato, grazie ai loro incartamenti, anche possibili disgrazie.
Oggi più nulla si salva dalle sigle nazionali-europee e mondiali. A partire dai prodotti alimentari per terninare alle industrie motoristiche.
Ed allora DOC, DOP, IGT, DOCG, IGP, BIO, ISO, UNI, IMQ, CEN, Marchio di Qualità, Marchio di Condormita, Marchio CE, a cui fanno seguito loghi più o meno colorati, etichette quadrate, rettangolari, triangolari, più o meno circoscritte da disegni di ingranaggi e che soffermandoci su per un attimo, richiamano i vecchi marchi di un secolo fa immersi in tante medaglie sparse sullo sfondo di una bandiera sabauda e riportanti la scritta in elegante corsivo “Fornitori della Real Casa”. Irreali, vetusti, superati diremmo noi oggi, come del resto credo lo siano anche questi attuali non costruiti con la matita di un grafico vecchio stampo, ma di quello telematico 2.0
Rubo il dire politico “non sono tutti uguali”, per copiarlo e ripeterlo nei confronti anche di questi Istituti. Sicuramente ce ne sono di seri ed ottimi, che offrono garanzie e sicurezza. La difficoltà è solo una, come nella politica, il trovarli facilmente sulla piazza.
Ed è allora che ritengo, sarò anche all’antica, meglio un litro di olio acquistato dal contadino a 12/13/14 € al litro, senza etichetta e confezionato in un contenitore di vetro anonimo, che quello certificato dell’Azienda Vattelapesca con il marchio certificato Extra vergine di Oliva ed il prezzo offerta al supermercato a partire da 3/4/5 € e che può arrivare fino a quello dell’Agricoltore. E qui dovrebbe scattare l’allerta dell’acquirente!
Perchè l’esempio del contadino? Ma semplicemente per concludere con quella mancata enunciazione iniziale sul sottotitolo degli ingredienti dei nostri nonni: Professionalità, Coscienza, Onestà ed infine ad acquisto fatto, giusto per garanzia, una “Stretta di Mano”: la cosa più preziosa!

domenica 25 gennaio 2015

Riciclo, certificazioni, marchi di qualità, bufale e burocrazia. Prima Parte

Tutte cose serie, che se analizzate però una ad una, eufemisticamente parlando, fanno ridere!

Leggevo giorni fa, che sono stati ritirati dal mercato alcuni lotti di sale, perché contaminati da un’eccessiva percentuale di piombo contenuto nel materiale usato per la fabbricazione della scatola che lo contiene, come oramai avviene nella maggior parte degli imballi di questa tipologia, con materiali riciclati.

E da questa notizia sono partito per risalire ad altri casi similari dove le imputate erano, per l’identico motivo, le cellulose riciclate nella confezione di contenitori della pizza da asporto.
Ora non voglio assolutamente calarmi nel ruolo del giornalista d’assalto e da inchiesta. Per primo, perché già altri lo hanno fatto, secondo perché non né ho la competenza, la capacità e le possibilità e terzo, ancor più importante, perché fare nomi e citare marche di prestigio si corre sempre il rischio di essere citati in giudizi di carattere legale, già persi, ancor prima di cominciare. Quindi il giocare a fare agli eroi lo lascio ad altri con le spalle più larghe.
La mia è solo una modestissima ricerca per soddisfare i miei dubbi, legata alla post-riflessione fatta ad “alta voce” su quelle che sono state le mie impressioni che ho provato via via nel corso del mio “navigare”.
Premetto che non si tratta certo di una lettura indicata per coloro che non hanno tempo da perdere. Per costoro la lettura potrebbe cessare già fin da qui.
Parlare infatti di simili argomentazioni, di questi problemi, porta via del tempo sia a chi ricerca, sia a chi scrive e come del resto a chi legge, magari stimolato a sua volta a documentarsi.
Ed è a queste poche persone che ho pensato, immaginando a livello di documentazione che avrei potuto aiutarli a soddisfare le loro curiosità segnalando alcuni link, che a mio parere ho ritenuti interessanti.
Credo comunque, che in casi similari, tutto quanto si viene a scoprire sia un po’ come quelle famose punte degli iceberg e che per non passare da pressapochisti convenga approfondire quasi fosse un obbligo. Seppur lo penso e lo scrivo, affermo che preferirei sbagliarmi, ma ritengo che più andremo avanti nel tempo e più ci troveremo ad imbatterci in situazioni similari sempre più di sovente.
Infatti quando si cominciò a parlare e discutere sulla bontà in senso lato del sistema Riciclo, sull’educazione al Riciclo, al risparmio che il Riciclo avrebbe portato, al rispetto nei confronti dell’Ambiente che questo Riciclo avrebbe portato, non si è tenuto conto, o si sono sotto valutate le problematiche che questo avrebbero comportato con il trascorrere del tempo.
E vogliamo vedere allora i problemi nello specifico caso della Carta Riciclata?
Va detto che inizialmente questo materiale riciclato avrebbe dovuto avere un periodo di vita, a livello di ricicli, non superiore alle tre volte. Poi con il trascorrere del tempo (come avvenuto per le percentuali nocive di arsenico nell’acqua) si è preferito alzare il numero di riciclaggio a 4/5 ricicli, poi a 5/6 ed oggi in qualche sito internet (ma si dice che questi siti non fanno testo, oppure lo fanno solo quando fa comodo a qualcuno!) si può leggere anche 8 ricicli. Basta vedere nei link riportati a fondo articolo!!
La normativa italiana, fissa per la percentuale di piombo nella cellulosa, un limite di 3 microgrammi per decimetro quadrato, del tutto compatibile con l’uso di cellulosa vergine, anzi c’è da dire che in questa sua verginità non raggiunge mai questo valore. Quando però il cartone è ottenuto da cellulosa riciclata il limite può essere superato anche di 4-5 volte, arrivando a 10 o 15 microgrammi per decimetro quadrato.
E chi e come si controlla il numero di riciclaggi ??
Bella domanda che credo possa essere solo fornita da questa spiegazione.
Più si ricicla e più le fibre della carta perdono di resistenza, si spezzano divenendo sempre più corte perdendo elasticità. Ed ecco che allora il suo utilizzo viene impiegato (o dovrebbe!), all’inizio, per la confezione di cartoni da imballo che assicurino una giusta resistenza, una robustezza allo strappo. Via via aumentando il numero dei ricicli, si finisce con il riciclaggio della carta igienica (e qui si esaurisce per la sua tipologia d’uso) e quello della carta velina.
Ed in mezzo ci sono gli imballi intermedi che fin che durano, non dovendo assicurare grandi resistenze, con qualche riciclo in più, fanno il business di chi ha le mani in pasta… nella cellulosa.
Andando a sfrucugliare nelle pagine di internet si può arrivare ad immaginare (a pensar male si farà pure peccato…) che sia più conveniente, forse, esportare questa cellulosa riciclata in paesi orbi a comportamenti ecologici, con leggi fai da te, che fanno il lavoro sporco per conto di coloro a cui invece sta a cuore la salvaguardia dell’ambiente e che gli ritornano gli imballi belli e stampati a “poche lile”, direbbero loro, salvaguardando a costo zero anche le coscienze (sempre che ne abbiano una magari riciclata!).
Intanto chi volete che faccia i controlli richiesti dalle nostre leggi, in questi paesi dimenticati da Dio, dove la regola principale è solo una :" lavolale 26 ole al giolno e tutto il lesto è solo “optional” ". A parte che già i controlli, anche a casa nostra se ne fanno tanti pochi e quei pochi che vengono fatti, almeno si dice, sempre su preavviso telefonico qualche giorno prima, seppur, come recita il buon Crozza: “Io non ci credo!!”
Però mi permetto di mettere un link pregando di soffermare l’attenzione del lettore su quanto predica la pubblicità in fatto di controlli, che se sono fatti ad egual misura della perfezione di come sono fatte le traduzioni, c’è da stare veramente tranquilli. E si guardi che la merce è pure sottoposta a varie certificazioni.
Ma il problema riciclo, non riguarda solo la carta. Altro osservato speciale è la plastica. Basterebbe solo possedere un elettrodomestico “bianco” ed osservare come le parti bianche in plastica, con il trascorrere del tempo mutano la loro colorazione dalla tonalità bianca originaria identica per ogni componente a gialliccia, ma in toni diversi. Immaginate il perché. E si pensi che per avere una qualità migliore paghiamo anche un costo maggiore, derivato anche dalle certificazioni, che oggi hanno tutte le produzioni.
Ma sulle certificazioni, ne parleremo la volta successiva.


Franco Giannini
Già pubblicato Sabato 24 gennaio, 2015 su SenigalliaNotizie.it