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venerdì 10 agosto 2018

I Ricordi sono come le ciliegie, uno tira l'altro... Terza ed ultima boa...

Vedo vedo, vedo una barca in mezzo al mare
e che non viene dal Perù, come dice la canzone
... E' rimasta da percorrere la rotta più lunga; ma sarà anche la più veloce, visto che questa volta non verrà interrotta da aneddoti e ricordi vari... a farla da padrone saranno solo le immagini ed al più, qualche parola di commento, seppur non sia necessario visto ch'esse parlano da sole!!

Credevo che con la puntata scorsa, qualche amico lettore, mi avrebbe abbandonato, visto che con il senno del poi, ho avuto la sensazione di essermi lasciato andare, facendomi prendere la “penna” ed argomentando troppo egoisticamente i miei ricordi personali, sacrificando magari qualche parola circa il lavoro di Mauro Ossidi. Evidentemente mi sbagliavo se penso (e lo dimostro con una immagine) che mentre sto scrivendo il numero delle visualizzazioni (se poi si è letto questo non so) ha toccato la cifra di 290. Ciò mi fa piacere e mi rende orgoglioso constatando come alla fin fine, almeno lo voglio pensare, gli aneddoti incontrino il favore del pubblico. Quindi un infinito Grazie a tutti voi.

SEGUE Da...

Ci eravamo lasciati nella casa del contadino-pescatore in quel di Pietralacroce, nel mentre l'acqua bolliva ed intanto il "vergaro", si inerpicava lungo la Scalaccia appesantito dal sacco con i moscioli raschiati e lavati, pronti per essere consegnati alla "vergara" perché ci facesse due spaghetti alla rabita e distribuisse i restanti ai famigliari o ai vicini.
Seppur il tempo sia trascorso ed abbia mutato gli usi ed i costumi, rendendoli, come si dice oggi, “a la page”, io preferisco ricordarmeli così come li ho descritti: personaggi sinceri, ruspanti, genuini, come lo era il loro coltivato e pescato. Che poi alla fin fine, sono gli stessi uomini che hanno fatto da trait d' union tra l' ieri e l'oggi.
Visto che andremo con il vento in poppa, voglio subito anticipare quello che sarà questo ultimo tratto di bellezze da scoprire. Si andrà dalla spiaggia del Baffo per terminare nella spiaggia di Marcelli. Signori, binocoli alla mano, ordunque... 
Le Grotte della Scalaccia
Dire Pietralacroce, è solo un modo per indicare una località, perché quello di bello che c'è da vedere non sono solo le grotte o il sentiero de la Scalaccia.
Ci sono innumerevoli spiaggette composte tutte, come pretendono le zone di cui si parla, di sassi, rena ed acqua cristallina. Ed allora come si fa a non ricordare la spiaggia del Baffo, con i suoi Scogli del Cavallo 
Spiaggia del Baffo con lo
scoglio del Cavallo e quello dei Draghetti
e la Scogliera dei Draghetti. Detto questo, possiamo dimenticarci di visitare la spiaggia della Vedova? Il percorso per arrivarci non è né tra i più brevi né tanto meno tra i più facili. Ma ivi arrivati ti puoi sentire soddisfatto e ripagato della fatica fatta. Per chi ama la tranquillità, al di fuori di qualsiasi rumore, se non quello della risacca del mare, questa è una vera osasi di pace. Infatti, sempre poche le presenze, anche per la difficoltà che ricordavo, ma mare cristallino, veduta riposante, aria... come tutta quella che vortica nell'area del Conero. Un consiglio però: evitare assolutamente, per non rovinarsi la festa del bagno e la permanenza in loco, di pensare al percorso che si dovrà rifare a ritroso e quindi in salita...

Cambia la direzione del vento e per andare di bolina, ci spostiamo zigzagando più verso il  mare aperto, cosa che ci permette di ampliare visivamente la fetta di costa, seppur rimpicciolendone i particolari. Ma che ci importa? Allora a che servono i binocoli? Ed ecco infatti che in lontananza si può continuare ad ammirare la spiaggia del "Baffo". Ma non solo a quanto pare.
Infatti noto che qualche amico di viaggio, sta orientando il binocolo più verso sud, chiedendomi che cosa sia quella cosa,... a pelo d'acqua, che si stacca dalla costa e si spinge verso il mare aperto.
Mi viene da sorridere e rispondo un po' da filibustiere, che laggiù quella linea sull'acqua annuncia il "confine" ! Mi guarda, ripunta il binocolo e mi chiede "ma quale confine?". :"Un po' di pazienza amico,... ancora un po' d' acqua da far scorrere sotto la chiglia e poi lo scoprirà !".
Ci stiamo infatti avvicinando al "Trave", una delle ultime zone ancora completamente allo stato brado dove la natura è rimasta selvaggia.
Trave, Spiaggia di Mezzavalle e Portonovo, visti dal Monte Corvi

Il nome sta ad indicare quel molo naturale a filo d'acqua, che si stacca dalla costa e si proietta verso il mare aperto e dove, come fa un gatto con la coda che alzandola ti fa capire che la carezza finisce lì, anche sul molo per indicare, invece, che la sua pericolosità termina lì, con quell'ultimo scoglio a pelo d'acqua in mare aperto, è stata posta non una Madonnina, ma La Madonnina del Trave. Un aiuto per quei naviganti che osassero inconsapevolmente avventurarsi troppo vicino alla costa.
La Madonnina del Trave

Come dicevo, il Trave è anche l'annuncio che l'ultimo baluardo del mosciolo verace sta per arrivare. Infatti passato Portonovo, ritroverai la cozza buona, per carità, ma non certo il mosciolo certificato.
Un tratto di mare, quindi questo, in cui bisogna fare un sacco d'attenzione e guardare lo specchio d'acqua con quattro occhi, visto che infinite sono le boe di segnalazione dei sub che stanno lavorando nelle profondità della baia pescando i moscioli.
I Moscioli, me raccomando,
poghi, ma belli

Essi non raschiavano di certo gli scogli, come facevano i contadini-pescatori di Pietralacroce con le vanghe, ma rispettavano la natura e, così facendo, il loro stesso lavoro e guadagno. Li raccoglievano uno ad uno, in base alle dimensioni, come lo si farebbe con i fiori, le mele o altro frutto della terra. Poi è venuta la "modernizzazione" con barche "specializzate" e gli scogli stanno iniziando a pagarne le conseguenze, come pretende il prezzo del progresso e del Dio denaro con la sua esaltazione della quantità e non della qualità (malgrado sia sempre decantata), e così facendo le rocce stanno assumendo le sembianze del mio cranio pelato.
Mentre vado avanti, spostandomi leggermente più verso terra, osservo una barca di circa sei metri con un piccolo motore fuori bordo, su cui un ragazzo a poppa sta dividendo i moscioli secondo le varie dimensioni, gettandoli in tre bidoni posti davanti a se. Nel mentre guardo ciò attraverso il binocolo, vedo riemergere una testa con una muta di colore blu, che passa un retino pieno di moscioli, legato con una corda attorno alla vita, al compare sulla barca. Allora pian piano mi avvicino alla barca ed attendo che il sub riemerga nuovamente, prima di avvicinarmi definitivamente fino quasi ad abbordarla. Giunto vicino, grido ai due giovani, il sub nel frattempo è risalito in barca a prendere fiato : "Salve maestro, non è che per caso me vendi qualche chilata de moscioli. Belli ehh, Li volevo far assaporare ai miei amici, prima di salutarli una volta terminata la gita, per far scoprire le vere delizie del Trave" e la differenza tra Moscioli e Cozze". 
Perché Moscioli e no cozze, basta
 guardare il colore del mare


Come tutte le persone di mare, non mi fanno cadere la cosa dall'alto, ridono e il sub mi fa un cenno di assenso e una volta presi dal bidone di quelli più grossi, mi consegna la mercanzia, (e non vorrebbe neppure essere pagato!!!) e sempre sorridendo, mi consiglia di mettere tutto in un bidone (che loro stessi poi mi forniscono) riempiendolo d'acqua, e ponendolo all'ombra. Acqua da sostituire ogni paio d'ore per tenerli sempre freschi.
"Da che ora è che siete in mare ?" chiedo. Risponde sempre il sub che dovrebbe essere anche il "boss" :" Siamo partiti da Ancona questa mattina alle quattro, ora sono le dieci ! Ma dobbiamo ritornare in porto e consegnare i moscioli divisi e insacchettati alla cooperativa". E così rispondendomi se la  ride... Sarà che la somma dell' età d' entrambi non supera i 50 anni... e a quell'età prendi tutto alla leggera come se fosse un' avventura. Ma è un bene che sia così, almeno per loro!!

Ecco, questa risata, mi riporta alla memoria un aneddoto che vorrei raccontare e che cadrebbe, come si dice, a ciccia con la risata del sub. Ma cadrei in una contraddizione, non mantenendo la promessa fatta all'inizio. Vabbè, io ve la racconto ugualmente, perché è curiosa, ma voi magari, non la leggete,... saltatela !

Ne è stato interprete mio cugino Daniele, che non appena terminava le scuole, avrà avuto 17/18 anni non di più, andava a lavorare (parlo degli anni '80 o giù di lì) con un suo amico sub che appunto pescava i moscioli al Trave o comunque in quell'area. Alla Mattina alle tre suonava la sveglia per entrambi e a bordo di una barca a motore (entrobordo) aiutava l'amico a dividere il pescato e poi di corsa nuovamente in porto per consegnarlo ai vari pescivendoli o vendendolo anche direttamente con l'aiuto di un' Ape per il trasporto. Guadagnava anche bene, tenendo presente che non era in regola.
Fatto è che una mattina dopo una pescata di un paio d'ore, stavano ritornando verso Ancona, quando all'altezza del Passetto, intravedono in distanza una motovedetta della Guardia di Finanza. L'amico, sapendo che poche erano le cose in regola nella barca ed ancor più la situazione di Daniele, gli grida :"La Finanza !!" e contemporaneamente gli da uno spintone che lo butta a mare. Mio cugino dall'acqua gli fa : "Ed io ?? che faccio ora", mentre già la barca con l'amico sia allontanava :" Nota piano, fa sporge pogo la testa pe pià fiato, nun te fa vedè, va a terra e nun la fa tanto longa, che sei davanti el Passetto e dumani speramo de rivedece."
Infatti il problema non era quello di raggiungere il Passetto, visto che era un buon nuotatore. Il problema vero infatti è nato, quando una volta toccati gli scogli è uscito dall'acqua. S'è ritrovato coperto solo da un paio di mutandoni grigi di maglina, che bagnati  erano tutto uno spettacolo della natura. Ma era un ragazzo che non si perdeva in un bicchiere d'acqua e la "vergogna" è una parola, ancor oggi, che a lui non l'ha mai scalfito. Ci raccontava come allora, la spiaggia vista l'ora (7,30 circa) era fortunatamente poco affollata. Ed allora è andato tra due scogli, si è tolto le mutande, le ha strizzate ben ben, gli ha dato una stirata con le mani e poi se l'è rimesse (e già era diventato, con le mutande un po' più asciugate, meno imputabile di atti osceni in luogo pubblico) ed ha cominciato a risalire la Scalinata verso il Monumento. 
Ed è qui che inizia la seconda parte dell'avventura. Lui abitava nel quartiere di Piano San Lazzaro e più precisamente in piazzale Loreto. Come arrivarci, quindi, da in cima al Viale? Non c'erano ancora i telefonini per chiamare casa o un amico. Lui con la faccia di bronzo che ritrova, va al capolinea del Viale,  - credo ci sia ancora, - dei filobus e come se fosse la cosa più semplice e soprattutto credibile di questo mondo, sale dalla parte dell'uscita e rivolto al conducente che lo guarda in modo strano gli fa :" Nun me guardà cuscì, so che faccio schifo, ma ero in mare, avevu pescatu i moscioli, se non chè è arrivata la Finanza, nun so in regula cu le marchette e per nun fa truva male l'amicu mio, me so butato in acqua. Nun ciò quindi un boco. L'unica roba che ciò è le mutande  che cume vedi nun ene de gran valore. Ohh, me devi fa arivà alla staziò, che poi pe andà a casa a piazale Lureto, vedo de passà en te le vie dietro. Ma nun me devi di de no. Dime quando sei de servizio, che te ne porto un sacchetto, sempre che nun metene drento l'amico mio e te faccio fa 'na magnata de moscioli che te la ricordi per un pezo"
Racconta sempre che il conducente, l'ha guardato per un momento come a fargli i raggi X e poi vista la sua tranquillità, si è messo a ridere di cuore e sarà che l'ha mosso a compassione, fatto è che l'ha fatto sedere sul sedile posto proprio al suo fianco con preghiera, però, di muoversi il meno possibile e fino alla stazione. E lui, racconta che per rendere la cosa più normale, per tutto il percorso, con la massima disinvoltura, non ha fatto altro che parlargli della pesca, di quello che faceva sulla barca, in maniera che se a qualcuno sorgeva il dubbio che c'era qualche cosa che non quadrava, il dialogo con il guidatore serviva a tacitarne i sospetti. Arrivato in stazione, ha attraversato il piazzale e di corsa, "era entrato oramai in acque territoriali" e per le vie più interne è rientrato a casa.

Salutati i nostri amici mosciolari, proseguiamo verso sud e gli occhi si posano sulla lunga spiaggia (rispetto alle altre precedentemente visitate) di Mezzavalle. Come dicevo il Trave segna il confine tra il selvaggio e il rientro nella civiltà.
La spiaggia di Mezzavalle

Infatti in questa spiaggia si ritorna a trovare sia qualche bar che qualche ristorante ed in cima cominci a trovare i parcheggi e il servizio pubblico di navetta.
Vediamo il molo di Portonovo, la Chiesetta, il Fortino Napoleonico, la Torre, la Vela, il laghetto e poi i soliti capanni, ombrelloni, bagnini, bar, e poi gente, tanta gente. Siamo ritornati nella normalità, seppur con un po' di bellezza naturale in più a rendere maggiormente accettabile la pillola della quotidianità.
Portonovo con il suo Fortino Napoleonico (ora ristorante)

La Torre Papalina di Avvistamento 

La natura però è stata benigna e prima di ritornare alle bellezze panoramiche dei centri più a sud, abbiamo da ammirare altri scorci di paesaggi e spiagge selvagge neppure troppo praticabili o perfino interdette, per la pericolosità dovuta alle frane della falesia. 
Incontriamo ordunque i Sassi Bianchi, la Spiaggia dei Forni, raggiungili entrambe solo via mare. Poi c' la Spiaggia dei Gabbiani o meglio sarebbe dire ci sarebbe, visto che non vi si può accedere per timore di frane e che quindi è godibile solo visivamente dal mare. Come pure le Due Sorelle  raggiungibili solo via mare. 
La Vela di Portonovo
Ma per gustarvi, come andrebbero realmente visitate le soavità dei paesaggi, ci sono solo tre modi : quello della descrizione orale o scritta ( che poi fatta da me, è assolutamente la meno indicata), oppure andare sulla pagina di Ossidi su FB che ripropongo https://www.facebook.com/Mauro.Ossidi/  -dove potete trovare un'infinità quantità (e qualità) di foto che alla serenità che questi paesaggi offrono,  si  aggiunge il tocco personale della sua qualità artistica - , o recarsi direttamente sui luoghi partendo dal Porto di Ancona rifacendosi tutto il percorso ma via terra più via mare, che io in maniera virtuale mi sono sognato di ripercorrere, terminandolo a Marcelli. Oltre questo paese, termina la Riviera del Conero e si entra in un'altra marca.
L'abbraccio della Baia di Portonovo

Superato lo sperone delle Due Sorelle, pericolante ed in continuo movimento franoso per cui ne è vietato l'accesso troviamo sempre interdetta ai visitatori quella della Cala Davanzali. Più avanti troviamo le spiagge dei Sassi Neri, la spiaggia di San Michele per giungere fino a quella più importante (a livello di comodità) dove "il selvaggio" lascia il posto alla normalità : La Spiaggia Urbani a Sirolo. 
Resta la bellezza del Panorama, ma in alto troviamo nuovamente i parcheggi, il servizio urbano di trasporto ed in basso gli stabilimenti balneari, bar e ristoranti, con tutto quello che offrono.
Le Ginestre

Ma prima di fare ancora un paio di tappe marine, mi sembra giusto alzare lo sguardo e ricordare le bellezze del Monte Conero che sovrastandoci ci offre: logicamente nei tempi debiti, il colore giallo delle Ginestre con il suo profumo da dividersi con quello dei fiori di  Lavanda. E poi ci sono i paesi con le loro caratteristiche viuzze : una per tutte Sirolo con i suoi giardini, per non dire Numana con le sue caratteristiche viuzze, per terminare con Marcelli e la sua ultima spiaggia di renella e sassolini.

Fiori di Lavanda

Signori, così facendo ed ammirando, siamo giunti al capolinea, timone tutto a babordo e si ritorna indietro puntando la prua nuovamente verso Ancona. 
Giunti all'altezza di Portonovo, una visione che difficilmente dimenticheremo : Il sole del tramonto, gettandosi nel mare ha appiccato fuoco all' acqua, impossibile direte voi, ma questa immagine qui sotto è la prova inconfutabile di due fenomeni, la possibilità che l'acqua arda e la certezza che le immagini di Mauro Ossidi, non siano solo foto, ma, almeno alcune, delle vere opere d'arte. 
... mare incendiato o tramonto sulla savana di Portonovo ?

Signore e signori, il sommo Dante scriveva nel suo Purgatorio che "era già l'ora che volge il disio  ai navicanti e n'ntenerisce il core...", in verità a me sta anche facendo venir fame, ed allora, scendo nella cucinetta di bordo, metto l'acqua sul fornello a bollire e comincio a pulire i moscioli... ahhh... qualcuno pensava che me ne fossi dimenticato ? ma io invece gli ho sempre cambiato l'acqua e li ho tenuti al fresco all'ombra della vela. Amici lo dichiaro ufficialmente, appena arriviamo in porto, attracchiamo e ci diamo da fare per una degustazione dei moscioli del trave seguiti da due spaghetti sempre con i moscioli, fatti alla "Modo mio..." accompagnati da un buon bicchiere di Verdicchio con il quale brinderò alle vostre fortune. Il tutto quale ringraziamento per avermi tenuto compagnia, accompagnandomi fin qui, alla fine di questo virtuale viaggio fatto di parole, ricordi ed immagini.

PS : Giunto alla fine, mi sento in dovere, soprattutto morale di porgere i miei più sentiti ringraziamenti a Mauro Ossidi, perché senza la sua autorizzazione ad utilizzare le proprie foto, il mio viaggio non si sarebbe mai concluso, proprio perché non avrebbe mai avuto neppure inizio. Le mie scuse, a Mauro, che essendo troppo gentile non me lo direbbe mai, qualora ritenesse che le sue immagini, abbiano perduto di valore artistico, avendole io  abbinate a didascalie, diciamo un po' troppo naif. Grazie Mauro, di vero cuore !







Testo di  Franco Giannini
Foto  di   Mauro Ossidi

mercoledì 1 agosto 2018

I Ricordi sono come le ciliegie, uno tira l'altro... Si va alla seconda boa !

Affacciati sul Balcone degli anconetani
per tentare di vedere la Dalmazia
E così grazie, per avermi fatto toccare l'obiettivo in cui speravo. Artefice di questo, il vostro interesse che mi avete dimostrato leggendomi. Ciò mi autorizza quindi, a  proseguire questo viaggio con la piacevole vostra compagnia. E se l'ho toccato io figuriamoci se non l'ha raggiunto Ossidi  ! Uno che di obiettivi se ne intende,  è , che ne dite :-) ? 

Visto il numero di consensi (253 visualizzazioni al 28 c.m.), seppur frazionati tra i vari visitatori di FB, eccomi allora qua nuovamente. E come la volta precedente, vi prometto che ci metterò tutta la mia attenzione, affinché non vi annoiate e possiate arrivare a leggere la fine di questa seconda tappa. 
Intanto un doveroso grazie anticipato.


SEGUE Da ... 

Attenzione gente, si esce a mare aperto e sentirete per un momento che si "ballerà" per via delle onde che ne increspano la superficie, visto che le correnti dei due moli, s'incontrano e si scontrano. Ma, ohi... nessuna paura ! Barra a dritta, quindi e... via così.

Si esce beccheggiando leggermente dal porto, aggirando il Molo Nord. Un momento, perché 
L'Uscita dal porto come è oggi. Una volta
la diga non esisteva.
 ritengo giusto, onde fare un po' di chiarezza, (anche per me!),  precisare come i nomi dati ai moli non è che siano poi così chiari: il molo che guarda verso nord viene definito dagli anconetani come Molo Sud e viceversa per quello che è orientato a sud e che per il fatto che è posto sopra quello più interno al porto, lo si definisce Molo Nord. Non prendetelo per oro colato quello che dico, è solo una mia opinione. Ma credo che sia questa la motivazione. Se c'è chi conosce il vero arcano, sarebbe gradito che lo condividesse con noi tutti.

Mi si permetta ora, qualche remember personale che ho ricollegato proprio a questo Molo. Infatti è proprio qui contro i frangi flutti posti al suo esterno, a mare aperto quindi, che la notte dell' 8 Giugno 1964, a causa di un tremendo fortunale, una nave battente bandiera panamense , la Surprise, venne sbattuta contro la scogliera e finì con lo schiantarsi ed affondare. La poca profondità delle acque in quel punto, però le permise di poggiarsi su di un fianco. L'equipaggio si salvò, grazie agli immediati soccorsi malgrado le non facili condizioni atmosferiche e le difficoltà incontrate nel corso del loro recupero. Io ricordo bene quella notte, perché ero intimorito e frastornato da quei timori che provocano i fortunali tra scrosci d'acqua, vento, fulmini e saette - quello che oggi, dopo 54 anni, battezzeremmo come "Bomba d'Acqua" - A questo si aggiunsero il suono continuo delle sirene dei mezzi di soccorso come le ambulanze ed i Vigili del Fuoco. Io abitavo allora in Via Santo Stefano, per cui mi trovavo vicino sia alla sede della Croce Gialla che a quella della caserma, d' allora, dei VF  che per far comprendere la posizione, dava le sue finestre sulla Fontana delle Tredici Cannelle in Corso Mazzini. Per cui quella notte dormìi assai poco. Ci si immaginava che Ancona fosse stata colpita da qualche grave evento, ma vista l'ora della notte ed il diluvio era difficile comprendere di che natura fosse e la sua dimensione. Non si aveva nessun tipo di informazione certa; non eravamo ancora nell'era di internet e di FB con i suoi video e selfie. Solo il mattino dopo si seppe dell'accaduto.  So che il relitto poi restò lì per diversi anni, a solenne ricordo delle lungaggini all'italiana. A proposito di selfie, volevo fornirvi qualche immagine del fatto e solo dopo una non facile ricerca, l'unica immagine che sono riuscito a trovare (Ossidi allora era - beato lui -, ancora 'n fjolo e non faceva le foto, ma le elementari) è quella di questo vecchio filmato scovato su internet e da considerarsi quasi un vero cimelio, poiché ci permette d' intravedere all'inizio del video, seppur brevemente, sia l'immagine della nave "spiaggiata" che la famosa zona della "Rotonda". 
La bellezza suggestiva di un tramonto
fa dimenticare le cose meno belle come
come la polvere inquinante del carbone
scaricato.
 


Sempre su questo lato interno del porto, con il maggior pescaggio, era destinato all'attracco delle navi mercantili più grosse e pesanti. Qui era possibile veder scaricare carbone, tronchi di legno dal diametro impensabile provenienti dalle foreste africane e brasiliane, minerali indecifrabili scaricati sfusi in piccole montagne, ed il tutto in terra tra una gru ed un'altra. Al più, sotto questi materiali, venivano posti dei spessi e resistenti teli. In terra, una volta portato via ciò che era stato scaricato,  ne restavano dei piccoli rimasugli che la povera gente (era ed è brutta la miseria), andava a "spigolare" come si fa in campagna con il grano, per portarselo poi a casa. Carbone, grano, schegge di corteccia, erano i materiali più ambiti. Affacciati alle murate delle navi ricordo i marinai che osservavano le operazioni di scarico e nel contempo facevano le pulizia sulla tolda, gettando secchiate d'acqua. Quelle che colpivano di più erano le navi cinesi, per le scritte del nome del piroscafo con i loro ideogrammi per noi indecifrabili, ma anche perché i marittimi erano tutti vestiti allo stesso modo nelle loro divise maoiste del tempo e che sembravano non parlassero, ma squittissero come tanti topolini.
Per completare la descrizione di questa cartolina, non avendo purtroppo alcuna immagine da regalarvi se non quella della mia memoria, aggiungo le file interminabili di vagoni che appena caricati dalle possenti braccia delle gru, venivano poi convogliati allo scalo ferroviario per comporre lunghissimi treni merci con destinazioni nazionali ed internazionali. 
Sul lato mare aperto, il braccio del molo era cintato con una muraglia di cubi in cemento e ferro posti là a salvaguardia della forza dei marosi, mentre la parte più verso i Cantieri era invece tutelata da scogli naturali. Ed era questa parte più genuina, che costituiva la zona così denominata: la "Rotonda". Ovvero la spiaggia e il loggione per assistere agli imponenti vari della produzione del CNR. Ritenuta, erroneamente, solo per un'idea radicata nel pensiero popolare, era il Lido esclusivo di noi "pureti" che abitavamo le case dei rioni del centro storico. Del resto come lo era ritenuto, sempre dal popolo, quello del "Passetto" in quanto esclusiva dei “Signori” che abitavano  el riò de la Fetina. 
In effetti era solo per una questione, in entrambi i casi, di vicinanza e comodità: casa-servizio.
 
Vista panoramica del Quartiere Adriatico
e della sottostante zona Passetto
 
Oggi gli spazi di questo molo sono riservati, uno, come del resto è stato sempre, ai Cantieri per le fasi di allestimento finale, post varo e gli altri alle navi da crociera o ai traghetti che collegano la nostra costa con quella albanese o greca. 
Navi da crociera e traghetti

Volevo riprendere a descrivere il bel vedere che si ammira dalla barca nel nostro  rilassante bordeggiare, se solo non mi si fosse accesa la luce di un altro ricordo sempre legato a questo molo. Scusatemi, ma non posso far finta di nulla e lasciarlo morire con me.

Sul braccio del molo in prossimità della punta, all'interno del porto, prima di entrare nell'area destinata alla Marina Militare il cui ingresso era "vietato ai non autorizzati" (ricordo come ci si faceva in quattro per avere questa autorizzazione, quando c'era il passaggio dei sciuri e degli sgombri, per poterli andare a pescare sulla punta, con la canna, in quanto si era in mare aperto), c'era il passo carraio posto prima dell'edificio della Sanità. E proprio quasi confinante con il passo, c'era un altro breve e piccolo molo che si proiettava sulla sua sinistra, verso la parte centrale del porto (quella dei Silo per intenderci) sui cui scogli erano state costruite abusivamente delle baracche di pescatori dilettanti. Sulla sua punta era posizionata una lanterna verde. Da cui poi prendeva il nome. Sotto i pali in ferro che sorreggevano queste baracche, non più alti di 120/150 cm. io  (ma non solo) andavo a pescare i pauri (paguri), gli astici (oggi non ci sono più neppure i granci magna merda) e i gamberetti. Lo stesso tipo di pesca era esercitata sugli scogli della Rotonda, vicini alla nave reclinata su di un fianco, più pescosa certamente, ma dove incontravi difficoltà di avvicinamento per via della spigolosità degli scogli artificiali e poi sotto un sole implacabile e senza una benché minima possibilità di riparo.
Al contrario, sotto  le baracche c'era un' autentica goduria sia per la brezza che si creava tra i pali di sostegni, al riparo dal sole, che per gli scogli naturali, arrotondati e "accessibili" nonché ricoperti di lunghe alghe che ne facevano anche un habitat ideale per la pesca di questi crostacei. 

A questo punto, non posso non ricordare, anche per lasciare qualche cosa ai posteri (evviva la modestia!) come avveniva la pesca dei pauri a quei tempi. 
la zona è questa : Arco Clementino,
Arco di Traiano, entrata dei Cantieri
e dall'alto, la Cattedrale (el Domo) che
controlla. 
 
Allora, si prendeva una canna non troppo grossa fissando alla sua estremità un cappio scorrevole fatto con una corda di chitarra, non mi si chieda il perché, ma mi sembra dovesse essere della tonalità del Re, forse per la resistenza che offriva, visto che le altre note o il cavo era troppo sottile o erano troppo grosse e troppo visibili. Su di una estremità di altri pezzi di canna (4-5), si avvolgevano e legavano, con una rete a maglie piccole e ben stretta, le esche composte da code di stoccafisso, baccalà o scarti di pesce (teste). Che più puzzavano e meglio era. Servivano appunto da richiamo. Si incastravano poi queste canne nelle fessure create da due scogli vicini, non molto in profondità, perché si doveva vedere quando le prede andavano a mangiare e si attendeva che i pauri uscissero fuori ed iniziassero a "banchettare". Solo in quel momento nasceva la lotta tra pescatore e pauro. Con il cappio aperto e rigido, visto che era di filo di metallo, si doveva, senza spaventarlo, cercare di far entrare questo nella chela, una volta che preso un pezzo di esca, se lo portava alla bocca. Allora senza strafare e senza tirare troppo si faceva chiudere il cavetto attorno alla zampa e lo si tirava pian piano (tanto non poteva più scappare), dentro al retino. Non troppo forte, dicevo, perché qualche pauro, preferiva lasciarti meglio la chela ed andarsene libero. Sembra che poi la chela gli ricrescesse!?. Appena alleggerito dal peso del pauro posto nel cestino, il cappio metallico si riapriva da solo. Identica la pesca degli astici, solo che questi camminando all'indietro come fanno del resto i suoi parenti poveri, i gamberi, il cappio andava posto dietro la coda, cosicché si doveva tirare solo quando la maggior parte del corpo era entrata facendo marcia indietro, spaventato dal muovere della canna. La pesca dei gamberi era solo a contorno della più ricercata e seppur più facile e snobbata, era quella più abbondante, visto che i gamberetti venivano richiamati dal "profumo" delle varie esche tutte accentrate in poco spazio, oltre a quelle inserite all'interno dei retini predisposti per la loro cattura e che rappresentavano la loro tonnara. Ogni quarto d'ora issavi i retini  e mettevi il pescato in un barattolo pieno d'acqua di mare, per mantenerli in vita il più possibile. 

Permettetemi di dilungarmi, con il menzionare un'altra parte della vecchia Ancona che non c'è più e che non dovrebbe essere assolutamente dimenticata, perché fa parte della sua Storia popolare
Dopo aver pescato o fatto il bagno alla Rotonda, ci si incamminava per ritornare a casa e giunti all'altezza dell'ingresso dei Cantieri Navali,  c'era il "Vino e Cucina" da Irma
Una tappa che avevi l'obbligo di non saltare. Ti dovevi assolutamente fermare. Anche perché era indimenticabile il profumo delle sue "Spuntature" che si propagava dalla punta del Molo alla stazione ferroviaria della Marittima. Per cui tagliavi già quel traguardo obbligato dall'acquolina in bocca. Non ci crederete, ma io, a distanza di oltre 50 anni, sto scrivendo e mi sembra ancora di percepirne quel binomio del profumo-gusto.
Il Panorama con le gru,
 ammorbidito con il semplice utilizzo
della luce... ecchecevò 
Non potevi non fermarti e non mettere due pezzi di spuntatura dentro una rosetta di pane, ordinare una birra o un bicchiere di vino e seduto all'ombra sotto il bersò (stavo per scrivere pergolato, poi mi ha preso da ridere e non l'ho più scritto sentendo una voce al mio interno che mi diceva, ma parla - e scrivi - come magni! Stamo a parlà de Irma... se no quella se rigira...in du se trova) allungavi le gambe, te gustavi quello che oggi è diventato un cibo da nobili con la puzza sotto al naso, te ripusavi, un rutto (sorry - ho usato l'italiano!) prima di riprendere il cammino. Durante la giornata, Irma, era la tappa degli operai che uscivano o entravano a seconda dei turni di lavoro per un bicchiere o un piatto di pasta e la domenica era meta di intere famigliole, che con la scusa del gelato per i bambini, i genitori se facevano il panino. Altre voci del menù oltre le spuntature e le salcicie, erane i fagioli con le cotighe, la saraghina scotadeti, el stucafisso cu le patate e la trippa.

E solo a pensare oggi che i nostri nipoti, se fane l' apericena, pigliano le tartine con la maionese o il Ketchup (non lo so neppure scrivere)  con due dita e con il tovagliolino di carta come tanti damerini, mi fa comprendere o quanto sono invecchiato io, o quanto si sono persi loro. Si mi chiedo se sono loro ad essersi persi qualche cosa il che me ne dispiacerebbe, o sono io che non riesco ad uniformarmi ai loro costumi e principalmente gusti. E non è che non gli piacciano i fagioli con le cotiche, ma ne mangiano giusto un assaggio, ma guai a farci cena... sono pesanti.

Scusate se sono andato fuori tema ed il mio A M'Arcord, per come l'ho anche steso, farà sicuramente rivoltare nella tomba il grande Federico Fellini, che però mi assolverà per questo intermezzo culinario visto che apprezzava anch'egli i piaceri della tavola e, buon per lui, non solo.

Riprendendo quindi il Bordeggio, si passa davanti all' Edificio della Sanità Marittima (allora) oggi credo Caserme dei V.F. e della Guardia Costiera. Si procede osservando lo scalo 
Il Molo Sud con il vecchio edificio della
Sanità Marittima
dei Cantieri Navali in grado di varare, se solo ci fossero commesse, navi lunghe quasi 300 metri. Visibile la sua immensa gru bianca e rossa. Punto di riferimento come lo era il Faro per la navigazione a vista di un tempo, ed oramai superata dal radar. Cantieri che una volta erano fonte di pane e companatico per quasi il 50% (se non di più) delle famiglie anconetane e che faceva dire agli “arsenalotti”, con infinito orgoglio, “lavoriamo ai Cantieri Navali”.
Ora però, consiglio di scendere sottocoperta o di turarsi il naso speranzosi che il vento continui a spirare per un terzo, verso terra. Dopo il Cantiere infatti, sapete che cosa ci attende? Non di certo una bellezza naturale, ma il punto esatto dove scarica la fogna centrale dell'intera città... il famoso, si fa per dire, “Cagò”, come lo chiamiamo noi anconetani.
Superiamo di slancio questo maleodorante punto di riferimento e sempre mantenendo il timone al centro, posizioniamo lo sguardo in alto, sul bordo della falesia, dove come incastonato nel cielo, possiamo veder svettare (o meglio svettava) quel che resta del “Faro” imponente e slanciato (n'a volta), che già malandato com'era, dopo la scossa di terremoto non è riuscito a restare in piedi. Terremoto che ha reso me emigrante e a lui ha dato il colpo di grazia finale a quello che restava ancora dei suoi acciacchi strutturali
Panoramica con in fondo il Cantiere, la diga
 con fogna e sopra quel che resta del Faro
.
Sotto, la spiaggia renosa delle Rupi del Cardeto.
Si va sempre diritti, cullati dal mare e più si avanza verso sud e più s' intravedono la prima serie delle caratteristiche grotte. Costruite da pescatori dilettanti che più che amatori erano degli amanti e che sembra abbiano trasmesso in eredità il testimone ai più giovani di questo concubinaggio tra mare estivo e mare d'inverno. Un mare che alcuni di loro infatti non riescono a tradire neppure nei mesi invernali, prendendo a loro scusante di controllare i retini, la barca da riparare o qualche altra bugia credibile o no... chi se ne frega se la moglie poi non ci crede.
Esse sono tutte dotate di cancelli multicolori e posizionate in seno a quella falesia, su cui appoggia le fondamenta il quartiere della Panoramica.
Abbarbicato, invece, lungo la sua dorsale, vediamo lo stradello di cui parlavo inizialmente nella precedente puntata, appena tracciato, con le persone che salgono o scendono e che viste dal mare sembrano piccole formiche intente a spostarsi in un loro itinerario ben definito.
Avanti, piano, leggermente a babordo, quel giusto per allontanarci dalla costa, evitando così lo sperone su cui si apre la Grotta Azzurra 
La zona della Grotta Azzurra
vista dall'alto
. Non sarà certo quella di Capri, non ci si entrerà con la barca, ma sarà forse per quella sua poca profondità in seno allo sperone o per quella dell'acqua, per un gioco di alghe, o per la luce del sole che batte sugli scogli, sta di fatto che in certi momenti fa si che si possa veramente fregiare di cosi pomposo titolo.
Ed ora per quello che andremo ad ammirare, ammainiamo una vela per rallentare la velocità. La musica dello sciabordio dell'acqua scende di qualche tono, la carezza del vento sulle vele si fa ancor più delicato ed a guadagnarci da questo rallentamento è l'attenzione che si sposta tutta sullo spettacolo naturale che scopriamo a dritta.
La prima cosa che salta agli occhi, guardando dal mare verso terra, è la maestosa “Segiula del Papa” 
per noi anconetani
questa è la segiula del Papa
come gli anconetani veraci, da generazioni, l'hanno battezzata. Uno scoglio, che i marosi nel corso dei secoli ha arrotondato degli spigoli più acuminati, dandogli appunto la forma della sedia gestatoria. Ad ammirarla dalla spiaggia, invece, la seconda serie di grotte che i Grottaroli, ci tengono alla specifica, “del Passetto”, hanno costruito.
Se queste bellezze sono valorizzate dalla luce del sole ed ammirate dal mare, non si possono dimenticare di osservarne alcune di quelle che Ossidi ha voluto immortalare quando erano immerse nella suggestività della notte estiva anconetana ed ammirate da terra,  
L'Ascensore visto di notte
come L'Ascensore


Il Monumento ai Caduti visto di notte
O come il Monumento ai Caduti che nella sua candida pietra d' Istria, si staglia nel nero della notte e che ti potrebbe suggerire: ma che bella immagine in bianco e nero, se solo, invece a svelare l'errore, non ci fosse il giardino in primo piano, ripreso nei suoi colori originari, seppur notturni. 
Ma per rientrare nel nostro virtuale itinerario, riportiamo le icone del nostro viaggio alla luce del sole e nei colori che madre natura ha loro donato e che Ossidi , ha esaltato.

Il Monumento ai Caduti visto di giorno
Replichiamo allora l'immagine dell'Ascensore 
L'Ascensore visto di giorno
nel suo colore verde-celeste pastello, baciato dal sole e del Monumento ai Caduti, il cui bianco immacolato della pietra 
rispecchia i raggi del sole abbacinando chi lo guarda. Ma se osserviamo quello che per antonomasia viene definito “El Monumento”, non ci può assolutamente sfuggire un suo componente: l'ampia scalinata 
La monumentale scalinata che dal Monumento scende fino al mare
che porta alla sottostante spiaggia semicircolare.
Guardando dal mare, a destra l'occhio va verso l'Ascensore ed a sinistra verso la palafitta su cui è posto l'unico stabilimento balneare attrezzato
Lo Stabilimento balneare
con tanto di cabine, ombrelloni e tutto quello che necessita a chi non vuol perdersi tutti i comfort, ma neppure la spiaggia con quel pizzico di rustico-selvaggio che tanto piace.
Non molto distante, troviamo il terzo blocco di grotte, definite "della piscina", in quanto perpendicolarmente costruite proprio sotto dove è posizionata la piscina. Anche qui non poteva non mancare uno stradello che scende dal parco della piscina fin sotto la spiaggia.

Gli Scogli lunghi
 e sullo sfondo l'Ascensore
  
Le grotte sotto la piscina
Uno sciabordio, un gorgogliare d'acqua, uno spumeggiare a pelo d'acqua a babordo (a sinistra guardando la prua) sta ad indicarci che stiamo passando nel canale tra la costa e gli infidi Scogli Lunghi. Con infinita  attenzione ci passiamo. Questi scogli ci annunciano che stiamo per entrare in località Pietralacroce

E se incontriamo una spiaggia, delle grotte, tranquilli che deve pur esserci uno stradello, una scalinata o come in questo caso, un sentiero : in questo caso è quello della "Scalaccia".
Scalaccia e le sue grotte

Oggi il quartiere di Pietralacroce, una volta zona agricola abitata da pochi contadini, neppure un paese, ma un piccolo borgo periferico, è stato promosso a dimora di quell'Ancona bene, che si è trasferita con il tempo, da quell'ormai, quartiere de “la fetina” del Viale, divenuto per lei troppo borghesizzato.
Issiamo di nuovo la vela che avevamo ammainato, perché ora le distanze tra una spiaggia ed un'altra si fanno un po' più lunghe.
Quello che andremo ad incontrare ora è un nuovo blocco di costruzioni di grotte, queste scavate dai pescatori-agricoltori di Pietralacroce, almeno come io li ricordo.
Cosa importante da ricordare che è da Pietralacroce che parte l'area del vero 
So Mo scio li... e guai a chiamali cozze.
Avvisati è !!
Mosciolo D.O.C. Area che arriva fino a Portonovo. 

Tutto il resto dei pescati sono solo e semplice cozze. 
Motivo? Forse l'acqua, credo! Di certo però è il sapore!! 
Il modo migliore di gustarli, almeno quello di una volta, era di aprire il guscio  con un coltellino, staccare ben bene da questo el ciciolo, spruzzarlo con il sugo de 'na fetina de limò, ciuciarli 'n te la boca ehhh... mastigarli molto, ma molto lentamente, immagazzinando nelle papille gustative tutta la loro bontà. Operazione che solo dopo essertene mangiati chili e chili, con l'andar del tempo ti farà comprendere la differenza che passa tra cozze e moscioli. 
Oggi l'acqua sembra pulita, ma effettivamente si sa che ciò non corrisponde alla realtà. Ed allora la ricetta migliore attuale è quella di cuocerli e condirli, ma con il minor numero di ingredienti possibili, perché, regola prima, "se deve sempre sentì el sapore del mosciolo e ' prufumu de mare". Se nun te vanne 'ste carateristighe, te consijo de magnà la cicia!! 
Ohh, poi sei sempre libero di seguire i consigli dei cuochi multi stellati. Ma, per imparà a cucinà ' pesce, bisogna vive per un po' de tempo su un peschereccio. 
Alla fine non ti daranno una laurea, ma ti farai un sacco di amici che ad ogni rimpatriata ti diranno :" Se facciamo pesce, però dopo cucini tu!"

Cundimenti poghi:
oio, erbette, aio per chi cel vole e sugo de
limò.
Questa digressione culinaria, mi porta alla memoria di quando i contadini-grottaroli, attenzione che parlo degli anni '60, scendevano lo stradello armati di forcone o di vanga, strumenti di pesca riveduti e corretti che essi usavano per andare a pescare i moscioli, dal momento che erano diversi coloro che non sapevano nuotare. Quindi neppure a pensarci a fare i “fiati”. 
Poi una volta raschiati gli scogli, seduti tranquillamente a riva, facevano la cernita di quelli più grossi, rigettando i più piccoli nuovamente in acqua. Altra operazione era quella della "raschiatura". Li pulivano così e li lavavano con l'acqua di mare fino a togliere tutte le impurità sul guscio, facendo brillare nel loro lucente nero. Verso mezzodì, risalivano la Scalaccia con i sacchi o i bidoni pieni del pescato, unitamente agli "attrezzi della pesca", certi che ad attenderli c'era la loro vergara, che nel frattempo aveva messo a bollire l'acqua, per farci su due spaghetti con il pescato debitamente pulito e quasi pronto per condimento alla rabita, coto e magnato.

Se vorrete... Continua...





Testo di : Franco Giannini
Foto  di  : Mauro Ossidi

giovedì 26 luglio 2018

I Ricordi sono come le ciliegie, uno tira l'altro...

Le Ginestre viste da Pietralacroce


Poi se ti “azzardi” a pubblicarli su FB, ecco che trovi sempre l'anima buona chein un modo o nell'altro ti aiuta in questo tuo migrar nei tempi andati... Uno di questi è MAURO OSSIDI a cui va la mia riconoscenza per la sua disponibilità. 

Mi corre quasi l'obbligo, prima di avventurarmi su questo percorso, di fare una premessa: non sono assolutamente un cacciatore di un "Mi piace" dal buonista di turno, ma una persona sincera a cui fa piacere, questo perché no, di essere letto e magari anche criticato. Se dovessi riuscire a mantenere la vostra attenzione fino in fondo, senza annoiarvi con le mie parole, se durante la lettura non dovreste avere problemi di mal di mare (poi leggendo comprenderete il perché dico ciò, se la crema solare vi avrà evitato scottature, se (ma qui il "se" è superfluo in quanto ho la certezza) le foto di Mauro Ossidi vi faranno respirare, seppur virtualmente, l'aria di mare e se questa, a sua volta, vi risveglierà l'appetito, allora questo è il momento giusto per prendervi una pausa ed andarvi a mettere a scaldare l'acqua per cuocere due spaghetti allo scoglio, anch'essi virtuali purtroppo, non avendo, immagino, al momento gli ingredienti principali. Perché la pausa ?vi chiederete. Semplicemente perché - e giuro sperando che non vi suoni come una minaccia - significherebbe che il mio obiettivo è stato centrato. Ovvero, quello di aver destato il vostro interesse concedendomi l'autorizzazione a  continuare a descrivere questo viaggio che sarà anche virtuale, ma che mi ha richiamato (e voglio sperare vi richiamerà) alla mente veritieri ricordi e bellissime emozioni. Grazie per l'attenzione e buona lettura.

Navigando, e qui mai termine fu più appropriato, sulle pagine di Facebook, mi sono imbattuto in una foto, scattata e postata da chissà chi, raffigurante la “Grotta Azzurra” locata ai piedi della falesia su cui poggia il quartiere anconetano de La Panoramica. Un rione diciamo delocalizzato di quel Quartiere Adriatico (Viale della Vittoria) denominato (parlo dei miei tempi!) come “el riò de la fetina”.
La Grotta Azzurra
A portarvi giù, un sentiero molto scosceso, largo appena una cinquantina di centimetri, perennemente franabile e quindi per la somma di queste difficoltà, da considerarsi pericoloso. Almeno quando io lo percorrevo era così e proprio perché presentava questa serie di difficoltà, l'incoscienza giovanile mi portava a non tenerne conto, pensando solo a quello che avrei trovato alla sua base : mare cristallino, profumo di scoglio, assenza di quella sabbia che se da un lato protegge i piedi dai tagli delle pietre, da un altro, fatto il bagno, ti si appiccica addosso finché non ti fai una doccia, e poi non devi fare centinaia di metri prima di poter dire con piacere " Ohh!!!...qui nun se toca!!".
Raccontavo, che in loco "possedevo" una grotta in muratura scavata sul fianco della falesia,
Ecco com'è o come dovrebbe essere
l'interno di una grotta
(quella che compare nella foto non è la mia!) dotata di quei comfort (parlo degli anni '56-'60 circa) che allora passava el “cunventu”, ma di cui, senza alcun sforzo ci si accontentava.
Però intanto il tam-tam sulle pagine di FB era risuonato, partito ed ecco che subito un mio omonimo, Massimo Giannini, non parente e che non ho mai conosciuto personalmente - mi è solo "amico" sulle pagine di FB -, mi pubblicava e condivideva con me la foto
Il Dinghy di cui si parla
di una barca (non lo so se sua, ma immagino che lo fosse o lo sia), un classe “Dinghy” completamente in legno e con tanto di vela issata, scattata sotto le grotte del Passetto.
A sua volta, non chiedetemi come, dove e perché, non saprei soddisfare la vostra curiosità, sono state commentate da diversi altri naviganti di Rete tra cui un certo Mauro Ossidi, che, ho scoperto poi “ficcanasando” sulla sua pagina - lo sport principale di chi naviga in Rete , - questo il link della sua pagina -, https://www.facebook.com/Mauro.Ossidi/ dove ho potuto ammirare le sue innumerevoli foto ivi  postate dell'intera Riviera del Conero. (Le foto pubblicate qui si possono ingrandire con un semplice click, ma consiglio di andarle a vedere direttamente sulla sua pagina )
Premetto che non si tratta di un'incensazione organizzata, in quanto anche questo Mauro Ossidi non lo conosco di persona, tanto più che abitiamo io a Senigallia (seppur con i natali ad Ancona, dove ho abitato fintanto che “Terry” non mi ha scacciato) da ben oltre quarant'anni, e lui credo ad Ancona. Quindi ciò che mi ha indotto a parlare di lui, dopo aver visionato la pagina e le sue foto, è stata solo la scoperta della passione che entrambi nutriamo per questo nostro mare e per l'intera costa del Conero. 
Una "Riviera" su cui sono incastonate perle di bellezze, mi arrischierei a dire un po' da spaccone, come sanno esserlo qualche volta gli anconetani, quasi uniche.
Premetto e sottolineo subito, onde evitare malintesi, che le foto qui postate (salvo un paio) e del resto tutte giustamente firmate, sono frutto del lavoro artistico di Mauro Ossidi e che io mi sono solo permesso di “rubare” - dopo una sua autorizzazione - abbinandovi queste due righe di ricordi o corredandole di semplici didascalie.
Ora sono qui a parlare d'immagini, scorci, scatti fissati da un attento obiettivo, che mi hanno svelato i veri valori di questi gioielli. Preziosità della natura che avevo visto innumerevoli volte frequentando queste località e che per questo credevo di conoscere, ma che, in effetti, solo oggi ho potuto appurare in quale modo superficiale le avessi osservate. L'occhio dell'artista infatti è quello che non vede, ma osserva, studia, particolareggia. Ed il frutto del suo lavoro ha fatto si che mi soffermassi a riflettere con più calma e serenità come queste foto richiedono se non addirittura, impongono. Da giovani, qual' ero allora, si sa che certe qualità paesaggistiche ed artistiche non si riescono né a vedere, percepire ed apprezzare, in quanto si è magari colpiti da altre visioni paradisiache, ma meno paesaggistiche.
Mauro Ossidi con la sua pagina, almeno con me, è riuscito in un' impresa che sembrerà facile, ma credo non lo sia: quella di ammorbidire e scacciare la superficialità di chi guarda, ma non osserva. Per tanti anni sono stato colpito anch'io da questa “malattia”: la superficialità, che ha alloggiato in me, ma che, in questo caso specifico, è stata curata scorrendo queste foto che non meritano di essere sfogliate, bensì centellinate come un buon vino D.o.c. Ed allora suggerisco, dopo la “sorsata” di un'immagine, di far seguire a chi si vuol prestare a questo gioco, di socchiudere gli occhi, lasciandosi andare a ricordi ch' essa farà risalire alla memoria sempre più numerosi e precisi.
Nella presentazione della sua pagina 
Già la presentazione, invoglia a sfogliare
Mauro Ossidi le definisce e si definisce :”modeste foto amatoriali,... non cercate foto belle, non sono un gran fotografo ne ho grandi mezzi...ma queste mie foto raccontano il mio mare e la mia terra! “.
La seconda parte dell'auto presentazione sarà anche vera, quanto è certamente "bugiarda" la prima. Il termine bugiarda lo uso logicamente in tono scherzoso, perché immagino dettato da quella ritrosità, da quella modestia, solitamente patrimonio degli Artisti inconsapevoli delle loro qualità. Essi, i fotografi nel nostro caso, senza saperlo, nel loro DNA posseggono l'Arte di vedere per primi, quello che gli altri (i secondi) non vedono. Saranno poi gli stessi secondi, alcuni di loro con un' apertura mentale più predisposta che riconosceranno ed apprezzeranno il valore dell'immagine fermata da chi di loro più sensibile, altri, invece, orbi e supponenti, magari battezzeranno l'opera con un secco “ecchecevole”. Costoro, poi puntato poi il soggetto dell' ecchecevole, faranno seguire il click senza rendersi minimamente conto che oltre che copiare un'immagine ne stanno “rubando” il valore maggiore... l'idea
Questa è solo arte e professionalità... ma quale dilettante ?
Ossisi, si definisce uno che “non ha grandi mezzi”, come se fosse unicamente il modello o ancor più il prezzo della macchina fotografica a fare di questo un Artista.
E' il “Manico”, cari signori, invece la cosa più importante. Quella cosa che non la si compra, perché o la si possiede naturalmente o risulterà irreperibile in qualsiasi emporio la si vada a cercare per l'acquisto. Questo valore pone una barriera invalicabile tra chi Artista è nato e chi non lo sarà mai. L'Artista, anche con una scatola di sardine, è in grado di immortalare con un click, qualsiasi cosa, mutandola da semplice immagine ad opera d'arte.
Colui che invece non lo è e non lo diverrà mai, seppur in possesso ed ostentando in mano gioielli quali una Nikon, una Canon, un' Hasselblad o altro, potrà eseguire al massimo una buona foto, ma nulla di più.
A parte il fatto, e credo che Ossidi concordi con me, che la cassa della macchina ha un valore relativo, mai importante quanto la bontà dell'obiettivo che essa monta, o meglio ancora della lente incorporata. Infatti nel mercato dell'usato si può incontrare il furbo che ti venda l'obiettivo di marca (a cui ha smontato la lente di valore) sostituendola con una di minori qualità. Perché chi mastica un po' di commercio della fotografia riesce a distinguere, non dico un'artista, ma l' appassionato fotografo dal dilettante allo sbaraglio, già da come impugna la macchina, da come la fa ruotare in mano, da come anteponga la marca del corpo macchina marca da quello della lente che l'obiettivo monta !!
Se fossi un critico fotografico, mi sarebbe interessato conoscere la marca della macchina usata da Ossidi, le lenti usate, asa, din, fuoco, tempi di esposizione e quanto di altro serve per poter giudicare,... se fossi, ma purtroppo non lo sono e tra questi dati tecnici mi sarei smarrito irrimediabilmente svelando quello che invece realmente sono !
Ed allora, io, uomo della strada, non giudice quindi di un concorso di fotografia, confesso di essere stato folgorato non certo dai mezzi tecnici, ma esclusivamente dalla bellezza di certe immagini che mi hanno procurato l'incaponimento della pelle. 
Ovvero... quando un dilettante supera
il professionista
Le foto di Ossidi mi hanno quasi obbligato a soffermarmi su particolari che io, seppur come già detto fossi un abituè di quei luoghi, non ne avevo notato i pregi.
Sfogliando questo suo album di foto scattate in tempi diversi, in località diverse, mi ha fatto ricostruire mentalmente un percorso fatto alla riscoperta di quella Riviera del Conero, conosciuta seppur sconosciuta. Ricordi che ora vorrei condividere con coloro che navigheranno su queste pagine, invitandoli tutti a bordo di una barca da diporto virtuale, assolutamente esenti, quindi, da mal di mare, scuffiate, marosi.
Ed allora tutti a bordo, tanto è tutto a gratis.
Facciamo finta di aprire e stendere sul tavolo a fianco del timone, la mappa della Riviera del Conero con tracciato il nostro itinerario.
Si parte, dunque, per il viaggio alla riscoperta del mare, della terra, dell' aria (oggi ad aiutarci avremo anche i droni), in compagnia del vento che accarezza le vele e della musica dello sciabordio dell'acqua sulla chiglia: un misto tra poco reale, ma tanta fantasia.
Le stazioni che toccheremo, sono l' Uscita dall'abbraccio dei due moli del porto di Ancona, i Cantieri Navali, le Rupi del Cardeto, la Grotta Azzurra, Il Passetto, La Piscina, Pietralacroce, la Vedova, il Trave, Portonovo, Sirolo, Numana...
Le stazioni non avranno una rotta prestabilita dalla linea tracciata sulle carte, perché bordeggeremo a seconda di dove ci porta il vento, ovvero di come sono state postate le foto che mi sono permesso di selezionare seguendo solo un mio gusto personale, condivisibile o meno. Ma la pagina di Ossidi su FB è molto più completa.
Porto  di Ancona : Molo Nord
La Lanterna Rossa
La foto della “Lanterna Rossa” posta a segnalare ai naviganti, la presenza del Molo Nord è l'emblema dell'Uscita dal porto di Ancona, di un molo dove è nata la zona industriale, dove c'è la "Fiera della Pesca" (almeno così era chiamata una volta), dove svettavano i Silo adibiti alla conservazione dei cereali scaricati dalle navi. 
I Silo del Molo Nord
La barca continua ad andare avanti, ma i miei ricordi si fermano per un istante in quel Molo dove una volta si sbeccavano e si lasciavano spurgare le “crucete” (in italiano garagolo) della loro bava, in cesti di vimini, perché, in quegli anni, l'acqua lì, era pulitissima. Le crucete così chiamate in vernacolo anconetano erano definite “brute, ma bone”. Brute per la loro spigolosità del guscio e bone, per la gustosità del "ciciolo", sia se mangiate crude (almeno una volta lo si faceva, ma oggi, visto il globale inquinamento delle acque, credo meno consigliabile) ed in porchetta. E si narra anche che esse rappresentino un po' il carattere dell'anconetano. E c'è una poesia di Eugenio Gioacchini in arte “Ceriago” a descrivere questo abbinamento. Tra il suo molo ed il mare erano posizionate i capanni da pesca (per noi più semplicemente le “Pesche”) piantate come palafitte, tutte in legno, con le reti a bilancia che venivano calate attraverso un verricello verticale azionato a mano ed il cui pescato veniva a sua volta recuperato con una “voliga” dal lungo manico flessibile. Le stesse “volighe”, che con il manico più corto, si usavano per pescare i “folpi” (in italiano, polpi). Una pesca che si faceva, mi sembra, nel periodo Agosto-settembre-ottobre, sia lungo i moli del porto, che tra le innumerevoli scogliere. Una pesca che veniva fatta prevalentemente di notte, perché i cefalopodi (per dirla da guzzo!) erano richiamati dalla luce fornita dalla fiamma che fuoriusciva dal beccuccio delle lampade a carburo, di cui era dotato ogni pescatore e che producevano gas di acetilene ottenuto dal misto di carburo ed acqua... Poi so che alcuni di questi capanni da pesca sono stati trasformati in ristoranti di pregio, ed oggi, solo immaginandolo, preferisco non sapere che fine ne abbiano fatto.
Continua...







Testo di : Franco Giannini
Foto  di : Mauro Ossidi