Anche se da criticone quale sono, devo dire che anche alcuni aspetti di cui ci si lamentava 50 anni fa sembrano siano italianamene rimasti irrisolti. Mi sono ritornate a mente infatti le lamentele che faceva il povero Scalabroni (deceduto in ancora giovane età) lanciatore di martello della SEF Stamura degli anni '60 (se ricordo bene!). Un bravo atleta lui e sempre se non ricordo male, a suo tempo campione e recordman regionale di martello. Il suo refrain ad ogni gara sia che gli andasse bene che se gli andava buca, era la lamentela che non c'erano campi idonei in cui poter lanciare. Vero è che una palla di bronzo del peso di 7 kg. e 260 grammi, lanciata a 60/70/80 metri di distanza quando atterra, lascia delle buche profonde e dopo un allenamento, un campo di calcio, si può considerare arato, tanto che diventa difficile da ricomporre. Ma del resto se si vuole che degli atleti si allenino, una soluzione bisognerebbe trovarla. Ed invece la stessa lamentela l'ho riascoltata dopo tantissimo tempo da Marco Lingua, lanciatore azzurro di questa specialità, partecipante agli europei, che intervistato dalla telecronista TV , si scusava per la sua prestazione che non gli aveva permesso di qualificarsi meglio dell' 11° posto e nel contempo si lamentava giustamente di come per loro lanciatori, sia difficile reperire aree dove effettuare le loro prove.
La commozione non mi aveva abbandonato, riflettendo su questo problema e ripensando alla figura del buon Scalabroni, che un altro gigante buono, come del resto solitamente lo sono tutti quelli con masse muscolari enormi, un altro lanciatore, sempre azzurrino, passando nella postazione TV oltre ai commenti tecnici sulla sua prestazione (mi sfugge il suo nome!), mandava un ricordo al grande discobolo che non c'è più Silvano Simeon menzionando la grande rivalità agonistica con un altro grande lanciatore ascolano del periodo : Armando De Vincentis.
Si sa che i campioni non possono per ragion di cose ricordarsi di tutti i "broccoli" con cui hanno condiviso la pedana (in questo specifico caso), ma i "broccoli", quali il sottoscritto, si. Infatti appena ho sentito nominare De Vincentis, ha provato di nuovo un tuffo al cuore. Si, perché ho gareggiato spessissimo con lui e lo ricordo come fosse ora, quando da novello sconosciuto si presentò sulla pedana del Dorico arrivando a toccare si e no, i 35 metri : semplicemente uno sconosciuto tra i tanti di noi in quel momento). L'anno dopo lo rincontrai, e dal ragazzo robusto che conoscevo, lo vidi che si era tramutato in un armadio a quattro ante. Ma che fai culturismo? gli chiesi pensando onestamente (o disonestamente) ad altro - si non mi sono mai fatto i cavoli miei-. Invece mi spiegò che durante l'inverno, in palestra, il prof. "Vittori" (altro grande preparatore, anche lui di Ascoli P. che nel mondo dell'atletica ci "regalò" in seguito il Mennea che tutti abbiamo conosciuto) gli aveva fatto fare tantissimi esercizi di "isometrica". I risultati si videro al suo primo lancio quando fece volare il disco ad oltre 45 metri. Io posso dire che l'ho ricordato con piacere quando l'ho sentito nominare e per un attimo sono ritornato a quei giorni. Seppur non posso pretendere che altrettanto lui si ricordi altrettanto e bene di me. Se a quei tempi fosse esistito il "selfie" oggi sarei a regalare una foto a testimonianza di ciò che dico.
Passata questa rimembranza giovanile, ritorno doverosamente a dove avevo lasciato.
Dicevo che il mio non è puritanesimo da due soldi, perché oggi tutte le nazioni, sono costituite da squadre la cui "verginità" della stirpe si vede chiaramente, e credo sia anche un bene, perché è un modo inconfutabile di "integrazione": Scandinavi moreschizzanti con gli occhi azzurri o i capelli biondi, che non eccellono più tanto nei lanci del giavellotto, bensì sulle corse di fondo. Però il fatto che non si veda altrettanto nei paesi asiatici ed africani, fa comprendere che qualche cosa si muove, seppur molto lentamente e solo da una parte.
I paesi colonialisti già da tempo hanno cominciato in questa operazione di amalgama tra le varie etnie, proprio dovuto alla loro occupazione di territori lontani a cui poi hanno concesso (si fa per dire!) o meglio restituito la loro sovranità. Oggi dopo due, tre generazioni abbiamo nomi occidentali portati da giovani dai tratti africani e devo dire che non ci si fa più assolutamente caso quando si tratta di nazioni come la Gran Bretagna, la Francia, la Germania. la Svezia, la Danimarca, la Spagna. Fa un certo effetto (seppur positivo) il vederlo applicare alle nazioni come l' Italia, che fino ad ieri se aveva tentato, lo aveva fatto con gli "oriundi" del calcio.
Quello che più mi ha impressionato ed in senso positivo, è l'aver potuto vedere e constatare che anche l'Italia, ha scelto di inserire nella nostra squadra elementi che si sono integrati ed altri che sono la nuova generazione nata in Italia (e quindi Italiani, altrimenti come li vogliamo considerare ?), da genitori che si sono invece integrati e, quel che conta non poco, tutti con un italiano parlato perfetto se non addirittura con inflessioni dialettali. E questo è quello che considero la strada giusta e che deve ancor più seguire lo sport, per dare qualche cosa in più che un semplice gesto sportivo.
Un esempio che le cose stanno mutando anche nel nostro mondo sportivo, ce lo offre questo giovane le cui sembianze confermano le sue origini, ma il cognome, la sua professione (corre per le Fiamme Oro della Polizia) ed il suo parlare, i suoi gesti, denotano tutto il suo sentirsi italiano : Yemaneberhan Crippa. Un altro giovane entusiasta di un azzurro trovato in Italia è
Jamel Chatbi naturalizzato italiano dal 2012, operaio nel bergamasco.
Un'altra furbesca nazione, seppur non nella specialità dell'atletica leggera è la Gran Bretagna che non so mai come vuole essere chiamata. Una Volta GB, un'altra Inghilterra, UK, sgusciante come un'anguilla per il piacere di partecipare alle varie competizioni, a seconda della specialità sportiva, con più formazioni. Più formazioni, più chance. Nel calcio, ( e nel sei Nazioni di Rugby) ad esempio, si presenta come un paese con divisioni interne. Ecco che allora partecipa come Inghilterra, Galles, Scozia, Irlanda del Nord, mentre invece in Atletica è più semplicemente Regno Unito. Se si vuol passare da tonti, passiamoci pure e mi sta bene, ma non diciamo però che questo serve per aiutare una migliore integrazione tra i popoli, perché questa è solo una sana e furbesca disorganizzazione!
Devo dire che questo amalgamarsi di stati e diverse etnie, nei Campionati Mondiali Juniores tenutisi in Polonia, non è risultata tanto appariscente, sia come Italia che come negli altri stati. Se non per il sottolineare da parte dei giovani partecipanti, ogni volta che erano inquadrati dalla telecamera, con il gesto delle mano e delle dita, ad indicare la propria nazionalità scritta sulla maglietta. Credo che più che attaccamento ai colori nazionali, sia diventata una moda giovanile.
Una cosa invece mi è saltata piacevolmente agli occhi, che mentre gli atleti italiani affermati o in via di affermazione (vedi quelli agli europei) sono sotto la giusta tutela delle squadre militari, che possono offrire quanto meno una retribuzione ed una facilitazione circa i periodi di allenamento e assenza per le gare, quali : Carabinieri, Fiamme Oro, Fiamme Gialle, Fiamme Azzurre, gli Allievi e gli Juniores, come ricordava il commentatore televisivo, vivono ancora grazie alla cura tecnica che le società locali forniscono a questi atleti ancora in erba e destinati a crescere per le attenzioni, i consigli, che i preparatori, solitamente ex atleti forniscono solo grazie alla loro passione. E qui ritorno a ricordare le vecchie, sane, solide, società storiche quali la Riccardi di Milano, l'Atletica Rieti, la Pro Patria Milano, Brixia atletica, Assi Giglio Rosso Firenze, Avis Macerata, ASA Ascoli, da non dimenticare i tanti CUS e lasciatemi ricordare per "dovere di favoritismo" la mia ex SEF Stamura. Ma ce ne sono tantissime altre, molto più piccole, ma ugualmente utili, che vivono e si nutrono solo di passione per questo sport che continua ad essere incontrastatamente "La Regina degli Sport".
di Franco Giannini