martedì 19 luglio 2016

Lo Sport di oggi è quel ...

...lo che italianamente da sportivo sprofondato in poltrona, vado ad analizzare, a modo mio, mescolando i vecchi ricordi con il nuovo che avanza.

E che c'era di meglio, dovendo parlare di Tour, di Giro, di ciclismo, di sudore, di pensiero Decoubertiano, di che cosa sia  una rivalità-sportiva e nel contempo cavalleresca, se non il mettere in copertina questa foto che tutti, anche i più giovani, conoscono. O voglio sperare che così sia!
Due miti delle sport delle due ruote a motore umano, Bartali con la maglia della nazionale e Coppi con quella Gialla da leader del Tour de France. Se non vado errato, credo fossimo nel 1952. Mi atteggio ad acculturato, ma è solo frutto di semplici ricerche, infatti non potevo ricordarmelo in quanto all'epoca avevo appena dieci anni e si era nella tappa Losanna-Alpe d' Huez in cui furono immortalati nel giallo della bottiglia. In questa foto c'è il sunto, del mistero del di chi era quella bottiglia o chi era che la porgeva a chi. Insomma la storia di un certo tipo di ciclismo oggi, diciamo tra virgolette, "Superato". 
Intanto sono in molti che parlano di borraccia, ma l'oggetto di scambio era una bottiglia. Se si fosse trattato di borraccia, quella presumibilmente doveva essere di Coppi, i cui contenitori sulla sua bicicletta risultano come si vede dalla foto, vuoti, mentre quelli di Bartali, sono occupati. Ma lasciamo ai posteri continuare a rimuginare sul chi aiuti chi ed invece vado ad osservare quella maglia della nazionale, che ha smesso di essere indossata al Tour, di quei tubolari indossati a croce per le forature in assenza dell' Ammiraglia, l'acciotolato polveroso delle strade non di certo asfaltate, le infinite diavolerie tecniche anch'esse superate e che gli amanti della bici riconosceranno sicuramente in primis nella quantità de numero di rapporti ed nel peso della bici, ed ancora, la mancanza del caschetto di protezione, la quasi totale assenza d' impecettamento su maglie e pantaloni dei loghi degli sponsor.
Quindi, come dicevo sulla prima parte di questo pistolotto para sportivo, mi sono messo davanti allo schermo, seppur preparato ad osservare dei cambiamenti, ma ho faticato non poco (ed ancora mi è difficile ritrovarmi seppur mentre scrivo ho la TV sintonizzata sul Tour) ad adeguarmi alla routine quotidiana del Chi, come, cosa, quando, la corsa prevede.
Già i nomi mi sono tutti nuovi, ma la cosa logicamente non può sorprendere se uno non segue assiduamente. Ma il problema è che non conosco neppure quelli italiani e non parlo come visi, ma anche solo per sentiti dire. Evidentemente ciò sta a significare che anche i successi dei nostri colori  non dovrebbero essere, da tempo, dei più eccelsi. Se solo penso che un certo Luigi Malabrocca era salito alla ribalta della cronaca per aver indossato la Maglia Nera per ben due Giri d' Italia, lottando per occupare l'ultimo posto in classifica. Cosa non facile e per l'appunto che veniva pagata anch'essa con un premio in denaro.
Non seguivo, dicevo, già più con assiduità il ciclismo, ma ricordo bene Bitossi, Gimondi, Moser, Saronni, Bugno, Cipollini per non parlare del "Pirata" alias Marco Pantani, ma l'impressione è che poi qualche cosa, dopo questi indiscussi campioni, si è, come dire, "ammosciato".
Si, per carità, ho sentito nominare Nibali, il mio corregionale Scarponi,  Dunego, ma ho l'impressione che siano stelle con una scia di luce di breve durata e la cui luce si possa ammirare senza un vetrino affumicato.
Sono andato a leggermi i nomi dei partecipanti italiani al Tour che si sta correndo ed ho ritrovato Aru e Nibali nei rispettivi ruoli di capitano ed aiuto o suo vice come più piace classificarlo, nella squadra kazaka dell'Astana. La compagine con più italiani in gara al suo interno, unitamente con Rosa e Tiralongo. Nella Tinkoff del rinomato Contador che per due cadute ha già dovuto abbandonare la kermesse, troviamo Gatto e Tosatto. Nella AG2R troviamo Pozzovivo. Nella BMC incontriamo invece Caruso. Nella Bora un altro italiano: Benedetti. Nella Katusha è presente Guarnieri. In quella famosa Lampre  (in cui era accasato Saronni), troviamo altri due cognomi italiani : Bono e Cimolai. ed infine nella Etixx a parlare italiano è Sabatini. Appena 13 italiani, di cui un paio con il compito dicevo di capitani, con gli altri 11 a svolgere il compito di "militari di truppa" (, per carità, utilissimi anche questi, anzi di più, ma comunque con nomi conosciuti da pochi). Un guazzabuglio di lingue, di marchi, di connazionali che si aiutano e si combattono a seconda di chi venga gestito il soldo da mercenario. Ieri le squadre racchiudevano la vecchia Europa Occidentale, oggi la globalizzazione ha portati tanti altri paesi a scoprire oltre che la bici, un possibilità di sport retribuito. Ieri il fare il mercenario (seppur in senso militare) era un po' sintomo di un qualche cosa di cui sentirsi  poco orgogliosi. Oggi invece i tempi sono cambiati, il termine si è spogliato del militaresco e anche questo termine è divenuto di moda non solo nella bici, ma in numerosi sport.
Io comunque ricordo con piacere quei dieci uomini in azzurro che portavano avanti la nostra squadra nazionale e che sulle strade delle corse a tappe erano tutti per uno ed uno per tutti e nelle strade di quei tempi la gente si soffermava sotto le finestre dove qualcuno generosamente divideva la cronaca radiofonica dell'arrivo della tappa dove in fuga c'era un azzurro, un italiano.
Oggi, se non segui volutamente i giornali potresti pensare che l' Astana è una squadra italiana in cui militano quattro italiani, quando invece è il nome della capitale del Kazakistan e l'ufficiale pagatore sono le maggiori industrie di quel paese, ovviamente di lingua russa.
Vedevo e vedo in queste tappe di montagna scalare tornanti con un passo che una volta si riteneva impossibile, tanta è la velocità con cui vengono superati. Gli scatti sembrano divenuti impossibili, perché ora quegli stessi gregari di un tempo, quelli che una volta erano solo portatori di beveraggi fintanto che il capitano navigava nella pancia del gruppo e poi lasciavano e venivano lasciati al loro destino, non appena si "saliva", a lottare con una perenne sfida contro l'entrare in quel "tempo massimo", pena la squalifica. Ora dicevo, in salita questi nuovi gragari di lusso, tengono il gruppo in fila indiana (la squadra di Sky ce lo dimostra ad ogni tappa) e mettono in pensiero di già qualche capitano di qualche altra concorrente.
Guardando i filmati datati dei vecchi campioni, che spingevano oltre che con la forze delle gambe, anche, scompostamente, quelle delle spalle, quasi a premere sul pedale di spinta con entrambe e paragonandolo con quello di questi attuali atleti, invece perfettamente in asso con il telaio, tutti belli diritti, con una pedalata rotonda apparentemente senza sforzo, con il loro casco perfettamente calzato sul capo, più che gregari dei fighetti da primi della classe, il cui termometro della fatica che fanno, può essere dato dalla maglietta con la semplice zip aperta o totalmente o fino a metà torace che lascia intravedere il cardiofrequenzimetro, ti porta o mi porta a chiedermi quali fossero i più bravi se loro o i loro nonni. Ma mi chiedo se ci sia  un metro di paragone per stilare una tale classifica?
Credo che sia impossibile poterla fare.
Se il dislivello delle montagne non è mutato, quello che è cambiato sono le strade, che oggi, seppur malandate con criticabili asfaltature, quelle di ieri erano strade di terra battuta poco paragonabili, tanto che le forature erano un evento normale. Il peso delle bici è diminuito e neppure poco, ed oggi il regolamento impone che esso per problemi di sicurezza non scenda sotto i 6,8 kg . Le prime bici dei primordi del Giro andavano intorno ad un peso di 14/16 Kg. e portarsi in salita 8 dieci chili, alla fine credo si facessero sentire. Non parliamo poi delle innovazioni che nel tempo ha apportato quello che io  chiamo per semplicità e per ignoranza tecnica semplicemente "Gruppo Cambio". Poi ulteriori evoluzioni le abbiamo avute sui materiali e sulle dimensioni delle ruote, sul numero dei raggi. Qualcuno parla anche della tipologia di allenamento, sull'alimentazione e sul numero di gare che si fanno nel corso dell'anno. E se proprio si vuol cercare il pelo sull'uovo, metterei anche il ruolo che svolge l'Ammiraglia con all'interno il Direttore Tecnico, ovvero lo stratega della formazione. Collegato con ciascun suo corridore via radio, può vivere la vita all'interno del gruppo, conoscere in che condizioni sono le gambe del chi di turno e decidere il momento d' impartire il suo ordine per l'andare in fuga, alzare il numero delle pedalate, andare in testa al gruppo o partecipare alla fuga si, ma evitando di tirare.
Oggi è tutto più spettacolare tecnicamente parlando, perché si va più veloci, le medie finali di un Giro o di un Tour si avvicinano a quello di un 50ino truccato, solo che le bici sono senza motore se non la spinta delle gambe. In discesa si toccano velocità che superano anche i 90 km/h, tanto da farti pensare che sopra quella due ruote non ci sia un atleta, ma un pazzo.
E questa ultima analisi mi porta ad una considerazione che mi fa dire che ciò che non è mai mutato e venuto a mancare nel corso di questo secolo di corse è l'encomiabile stoicità di questi ragazzi, quando sono coinvolti nelle cadute. La prima cosa a cui pensavano e pensano è rimettersi in piedi e recuperare la bici. Poi solo una volta in sella e doloranti, dopo la prima pedalata, cominciavano a fare un inventario dei danni subiti: vedevi la maglietta strappata da cui sporgeva una spalla sanguinante, cosce come passate sulla carta vetrata e questo quando era o è andata alla grande. Perché ci sono casi anche di fratture che stringendo i denti e quando si è "fortunati", supportati da qualche compagno di squadra si porta i cocci fino all'arrivo, perché poi con il santo massaggiatore la notte porta consiglio e domani è un altro giorno e si vedrà.
Comunque credo che la parte più bella ed in un certo senso più epica di questo sport, riguardi i tempi passati. In cui raramente si arrivava in gruppo al traguardo e la vittoria la si guadagnava con uno sprint. Oggi invece, dopo tappe di oltre 200 Km fatti a passo turistico per poi sparare tutte le cartucce in 10/15 km a spron battuto, l'arrivo è raccolto in una mega volata di 250 metri. E spesso questa tipologia di arrivo la si ha anche nelle tappe di montagna dove il tutto si conclude solo con qualche secondo di distacco unitamente a quelli inseriti di abbuono posti apposta per indorare la pillola agli scalatori.
Quelle tappe di altura che i nostri campioni di un tempo, invece vincevano con diversi minuti di distacco, e le loro smorfie di fatica miste a quelle di gioia scomparivano sotto le maschere di fango.
Chissà se sono solo un nostalgico di quegli uomini su quelle vecchie bici, o forse un po' masochista (ed egoista!), dal momento che io non pedalo, ma sto in poltrona, ma vedrei bene, non potendo alzare le cime e rendere le strade meno praticabili (anche se per far questo non servirebbe troppo impegno), io aumenterei il peso delle bici e non di qualche grammo, bensì di qualche chilo. Corse più lente, meno pericolose, ma dove ad emergere oltre che la tecnologia, ritorni primaria la forza fisica dell'uomo atleta.





di Franco Giannini

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