mercoledì 1 agosto 2018

I Ricordi sono come le ciliegie, uno tira l'altro... Si va alla seconda boa !

Affacciati sul Balcone degli anconetani
per tentare di vedere la Dalmazia
E così grazie, per avermi fatto toccare l'obiettivo in cui speravo. Artefice di questo, il vostro interesse che mi avete dimostrato leggendomi. Ciò mi autorizza quindi, a  proseguire questo viaggio con la piacevole vostra compagnia. E se l'ho toccato io figuriamoci se non l'ha raggiunto Ossidi  ! Uno che di obiettivi se ne intende,  è , che ne dite :-) ? 

Visto il numero di consensi (253 visualizzazioni al 28 c.m.), seppur frazionati tra i vari visitatori di FB, eccomi allora qua nuovamente. E come la volta precedente, vi prometto che ci metterò tutta la mia attenzione, affinché non vi annoiate e possiate arrivare a leggere la fine di questa seconda tappa. 
Intanto un doveroso grazie anticipato.


SEGUE Da ... 

Attenzione gente, si esce a mare aperto e sentirete per un momento che si "ballerà" per via delle onde che ne increspano la superficie, visto che le correnti dei due moli, s'incontrano e si scontrano. Ma, ohi... nessuna paura ! Barra a dritta, quindi e... via così.

Si esce beccheggiando leggermente dal porto, aggirando il Molo Nord. Un momento, perché 
L'Uscita dal porto come è oggi. Una volta
la diga non esisteva.
 ritengo giusto, onde fare un po' di chiarezza, (anche per me!),  precisare come i nomi dati ai moli non è che siano poi così chiari: il molo che guarda verso nord viene definito dagli anconetani come Molo Sud e viceversa per quello che è orientato a sud e che per il fatto che è posto sopra quello più interno al porto, lo si definisce Molo Nord. Non prendetelo per oro colato quello che dico, è solo una mia opinione. Ma credo che sia questa la motivazione. Se c'è chi conosce il vero arcano, sarebbe gradito che lo condividesse con noi tutti.

Mi si permetta ora, qualche remember personale che ho ricollegato proprio a questo Molo. Infatti è proprio qui contro i frangi flutti posti al suo esterno, a mare aperto quindi, che la notte dell' 8 Giugno 1964, a causa di un tremendo fortunale, una nave battente bandiera panamense , la Surprise, venne sbattuta contro la scogliera e finì con lo schiantarsi ed affondare. La poca profondità delle acque in quel punto, però le permise di poggiarsi su di un fianco. L'equipaggio si salvò, grazie agli immediati soccorsi malgrado le non facili condizioni atmosferiche e le difficoltà incontrate nel corso del loro recupero. Io ricordo bene quella notte, perché ero intimorito e frastornato da quei timori che provocano i fortunali tra scrosci d'acqua, vento, fulmini e saette - quello che oggi, dopo 54 anni, battezzeremmo come "Bomba d'Acqua" - A questo si aggiunsero il suono continuo delle sirene dei mezzi di soccorso come le ambulanze ed i Vigili del Fuoco. Io abitavo allora in Via Santo Stefano, per cui mi trovavo vicino sia alla sede della Croce Gialla che a quella della caserma, d' allora, dei VF  che per far comprendere la posizione, dava le sue finestre sulla Fontana delle Tredici Cannelle in Corso Mazzini. Per cui quella notte dormìi assai poco. Ci si immaginava che Ancona fosse stata colpita da qualche grave evento, ma vista l'ora della notte ed il diluvio era difficile comprendere di che natura fosse e la sua dimensione. Non si aveva nessun tipo di informazione certa; non eravamo ancora nell'era di internet e di FB con i suoi video e selfie. Solo il mattino dopo si seppe dell'accaduto.  So che il relitto poi restò lì per diversi anni, a solenne ricordo delle lungaggini all'italiana. A proposito di selfie, volevo fornirvi qualche immagine del fatto e solo dopo una non facile ricerca, l'unica immagine che sono riuscito a trovare (Ossidi allora era - beato lui -, ancora 'n fjolo e non faceva le foto, ma le elementari) è quella di questo vecchio filmato scovato su internet e da considerarsi quasi un vero cimelio, poiché ci permette d' intravedere all'inizio del video, seppur brevemente, sia l'immagine della nave "spiaggiata" che la famosa zona della "Rotonda". 
La bellezza suggestiva di un tramonto
fa dimenticare le cose meno belle come
come la polvere inquinante del carbone
scaricato.
 


Sempre su questo lato interno del porto, con il maggior pescaggio, era destinato all'attracco delle navi mercantili più grosse e pesanti. Qui era possibile veder scaricare carbone, tronchi di legno dal diametro impensabile provenienti dalle foreste africane e brasiliane, minerali indecifrabili scaricati sfusi in piccole montagne, ed il tutto in terra tra una gru ed un'altra. Al più, sotto questi materiali, venivano posti dei spessi e resistenti teli. In terra, una volta portato via ciò che era stato scaricato,  ne restavano dei piccoli rimasugli che la povera gente (era ed è brutta la miseria), andava a "spigolare" come si fa in campagna con il grano, per portarselo poi a casa. Carbone, grano, schegge di corteccia, erano i materiali più ambiti. Affacciati alle murate delle navi ricordo i marinai che osservavano le operazioni di scarico e nel contempo facevano le pulizia sulla tolda, gettando secchiate d'acqua. Quelle che colpivano di più erano le navi cinesi, per le scritte del nome del piroscafo con i loro ideogrammi per noi indecifrabili, ma anche perché i marittimi erano tutti vestiti allo stesso modo nelle loro divise maoiste del tempo e che sembravano non parlassero, ma squittissero come tanti topolini.
Per completare la descrizione di questa cartolina, non avendo purtroppo alcuna immagine da regalarvi se non quella della mia memoria, aggiungo le file interminabili di vagoni che appena caricati dalle possenti braccia delle gru, venivano poi convogliati allo scalo ferroviario per comporre lunghissimi treni merci con destinazioni nazionali ed internazionali. 
Sul lato mare aperto, il braccio del molo era cintato con una muraglia di cubi in cemento e ferro posti là a salvaguardia della forza dei marosi, mentre la parte più verso i Cantieri era invece tutelata da scogli naturali. Ed era questa parte più genuina, che costituiva la zona così denominata: la "Rotonda". Ovvero la spiaggia e il loggione per assistere agli imponenti vari della produzione del CNR. Ritenuta, erroneamente, solo per un'idea radicata nel pensiero popolare, era il Lido esclusivo di noi "pureti" che abitavamo le case dei rioni del centro storico. Del resto come lo era ritenuto, sempre dal popolo, quello del "Passetto" in quanto esclusiva dei “Signori” che abitavano  el riò de la Fetina. 
In effetti era solo per una questione, in entrambi i casi, di vicinanza e comodità: casa-servizio.
 
Vista panoramica del Quartiere Adriatico
e della sottostante zona Passetto
 
Oggi gli spazi di questo molo sono riservati, uno, come del resto è stato sempre, ai Cantieri per le fasi di allestimento finale, post varo e gli altri alle navi da crociera o ai traghetti che collegano la nostra costa con quella albanese o greca. 
Navi da crociera e traghetti

Volevo riprendere a descrivere il bel vedere che si ammira dalla barca nel nostro  rilassante bordeggiare, se solo non mi si fosse accesa la luce di un altro ricordo sempre legato a questo molo. Scusatemi, ma non posso far finta di nulla e lasciarlo morire con me.

Sul braccio del molo in prossimità della punta, all'interno del porto, prima di entrare nell'area destinata alla Marina Militare il cui ingresso era "vietato ai non autorizzati" (ricordo come ci si faceva in quattro per avere questa autorizzazione, quando c'era il passaggio dei sciuri e degli sgombri, per poterli andare a pescare sulla punta, con la canna, in quanto si era in mare aperto), c'era il passo carraio posto prima dell'edificio della Sanità. E proprio quasi confinante con il passo, c'era un altro breve e piccolo molo che si proiettava sulla sua sinistra, verso la parte centrale del porto (quella dei Silo per intenderci) sui cui scogli erano state costruite abusivamente delle baracche di pescatori dilettanti. Sulla sua punta era posizionata una lanterna verde. Da cui poi prendeva il nome. Sotto i pali in ferro che sorreggevano queste baracche, non più alti di 120/150 cm. io  (ma non solo) andavo a pescare i pauri (paguri), gli astici (oggi non ci sono più neppure i granci magna merda) e i gamberetti. Lo stesso tipo di pesca era esercitata sugli scogli della Rotonda, vicini alla nave reclinata su di un fianco, più pescosa certamente, ma dove incontravi difficoltà di avvicinamento per via della spigolosità degli scogli artificiali e poi sotto un sole implacabile e senza una benché minima possibilità di riparo.
Al contrario, sotto  le baracche c'era un' autentica goduria sia per la brezza che si creava tra i pali di sostegni, al riparo dal sole, che per gli scogli naturali, arrotondati e "accessibili" nonché ricoperti di lunghe alghe che ne facevano anche un habitat ideale per la pesca di questi crostacei. 

A questo punto, non posso non ricordare, anche per lasciare qualche cosa ai posteri (evviva la modestia!) come avveniva la pesca dei pauri a quei tempi. 
la zona è questa : Arco Clementino,
Arco di Traiano, entrata dei Cantieri
e dall'alto, la Cattedrale (el Domo) che
controlla. 
 
Allora, si prendeva una canna non troppo grossa fissando alla sua estremità un cappio scorrevole fatto con una corda di chitarra, non mi si chieda il perché, ma mi sembra dovesse essere della tonalità del Re, forse per la resistenza che offriva, visto che le altre note o il cavo era troppo sottile o erano troppo grosse e troppo visibili. Su di una estremità di altri pezzi di canna (4-5), si avvolgevano e legavano, con una rete a maglie piccole e ben stretta, le esche composte da code di stoccafisso, baccalà o scarti di pesce (teste). Che più puzzavano e meglio era. Servivano appunto da richiamo. Si incastravano poi queste canne nelle fessure create da due scogli vicini, non molto in profondità, perché si doveva vedere quando le prede andavano a mangiare e si attendeva che i pauri uscissero fuori ed iniziassero a "banchettare". Solo in quel momento nasceva la lotta tra pescatore e pauro. Con il cappio aperto e rigido, visto che era di filo di metallo, si doveva, senza spaventarlo, cercare di far entrare questo nella chela, una volta che preso un pezzo di esca, se lo portava alla bocca. Allora senza strafare e senza tirare troppo si faceva chiudere il cavetto attorno alla zampa e lo si tirava pian piano (tanto non poteva più scappare), dentro al retino. Non troppo forte, dicevo, perché qualche pauro, preferiva lasciarti meglio la chela ed andarsene libero. Sembra che poi la chela gli ricrescesse!?. Appena alleggerito dal peso del pauro posto nel cestino, il cappio metallico si riapriva da solo. Identica la pesca degli astici, solo che questi camminando all'indietro come fanno del resto i suoi parenti poveri, i gamberi, il cappio andava posto dietro la coda, cosicché si doveva tirare solo quando la maggior parte del corpo era entrata facendo marcia indietro, spaventato dal muovere della canna. La pesca dei gamberi era solo a contorno della più ricercata e seppur più facile e snobbata, era quella più abbondante, visto che i gamberetti venivano richiamati dal "profumo" delle varie esche tutte accentrate in poco spazio, oltre a quelle inserite all'interno dei retini predisposti per la loro cattura e che rappresentavano la loro tonnara. Ogni quarto d'ora issavi i retini  e mettevi il pescato in un barattolo pieno d'acqua di mare, per mantenerli in vita il più possibile. 

Permettetemi di dilungarmi, con il menzionare un'altra parte della vecchia Ancona che non c'è più e che non dovrebbe essere assolutamente dimenticata, perché fa parte della sua Storia popolare
Dopo aver pescato o fatto il bagno alla Rotonda, ci si incamminava per ritornare a casa e giunti all'altezza dell'ingresso dei Cantieri Navali,  c'era il "Vino e Cucina" da Irma
Una tappa che avevi l'obbligo di non saltare. Ti dovevi assolutamente fermare. Anche perché era indimenticabile il profumo delle sue "Spuntature" che si propagava dalla punta del Molo alla stazione ferroviaria della Marittima. Per cui tagliavi già quel traguardo obbligato dall'acquolina in bocca. Non ci crederete, ma io, a distanza di oltre 50 anni, sto scrivendo e mi sembra ancora di percepirne quel binomio del profumo-gusto.
Il Panorama con le gru,
 ammorbidito con il semplice utilizzo
della luce... ecchecevò 
Non potevi non fermarti e non mettere due pezzi di spuntatura dentro una rosetta di pane, ordinare una birra o un bicchiere di vino e seduto all'ombra sotto il bersò (stavo per scrivere pergolato, poi mi ha preso da ridere e non l'ho più scritto sentendo una voce al mio interno che mi diceva, ma parla - e scrivi - come magni! Stamo a parlà de Irma... se no quella se rigira...in du se trova) allungavi le gambe, te gustavi quello che oggi è diventato un cibo da nobili con la puzza sotto al naso, te ripusavi, un rutto (sorry - ho usato l'italiano!) prima di riprendere il cammino. Durante la giornata, Irma, era la tappa degli operai che uscivano o entravano a seconda dei turni di lavoro per un bicchiere o un piatto di pasta e la domenica era meta di intere famigliole, che con la scusa del gelato per i bambini, i genitori se facevano il panino. Altre voci del menù oltre le spuntature e le salcicie, erane i fagioli con le cotighe, la saraghina scotadeti, el stucafisso cu le patate e la trippa.

E solo a pensare oggi che i nostri nipoti, se fane l' apericena, pigliano le tartine con la maionese o il Ketchup (non lo so neppure scrivere)  con due dita e con il tovagliolino di carta come tanti damerini, mi fa comprendere o quanto sono invecchiato io, o quanto si sono persi loro. Si mi chiedo se sono loro ad essersi persi qualche cosa il che me ne dispiacerebbe, o sono io che non riesco ad uniformarmi ai loro costumi e principalmente gusti. E non è che non gli piacciano i fagioli con le cotiche, ma ne mangiano giusto un assaggio, ma guai a farci cena... sono pesanti.

Scusate se sono andato fuori tema ed il mio A M'Arcord, per come l'ho anche steso, farà sicuramente rivoltare nella tomba il grande Federico Fellini, che però mi assolverà per questo intermezzo culinario visto che apprezzava anch'egli i piaceri della tavola e, buon per lui, non solo.

Riprendendo quindi il Bordeggio, si passa davanti all' Edificio della Sanità Marittima (allora) oggi credo Caserme dei V.F. e della Guardia Costiera. Si procede osservando lo scalo 
Il Molo Sud con il vecchio edificio della
Sanità Marittima
dei Cantieri Navali in grado di varare, se solo ci fossero commesse, navi lunghe quasi 300 metri. Visibile la sua immensa gru bianca e rossa. Punto di riferimento come lo era il Faro per la navigazione a vista di un tempo, ed oramai superata dal radar. Cantieri che una volta erano fonte di pane e companatico per quasi il 50% (se non di più) delle famiglie anconetane e che faceva dire agli “arsenalotti”, con infinito orgoglio, “lavoriamo ai Cantieri Navali”.
Ora però, consiglio di scendere sottocoperta o di turarsi il naso speranzosi che il vento continui a spirare per un terzo, verso terra. Dopo il Cantiere infatti, sapete che cosa ci attende? Non di certo una bellezza naturale, ma il punto esatto dove scarica la fogna centrale dell'intera città... il famoso, si fa per dire, “Cagò”, come lo chiamiamo noi anconetani.
Superiamo di slancio questo maleodorante punto di riferimento e sempre mantenendo il timone al centro, posizioniamo lo sguardo in alto, sul bordo della falesia, dove come incastonato nel cielo, possiamo veder svettare (o meglio svettava) quel che resta del “Faro” imponente e slanciato (n'a volta), che già malandato com'era, dopo la scossa di terremoto non è riuscito a restare in piedi. Terremoto che ha reso me emigrante e a lui ha dato il colpo di grazia finale a quello che restava ancora dei suoi acciacchi strutturali
Panoramica con in fondo il Cantiere, la diga
 con fogna e sopra quel che resta del Faro
.
Sotto, la spiaggia renosa delle Rupi del Cardeto.
Si va sempre diritti, cullati dal mare e più si avanza verso sud e più s' intravedono la prima serie delle caratteristiche grotte. Costruite da pescatori dilettanti che più che amatori erano degli amanti e che sembra abbiano trasmesso in eredità il testimone ai più giovani di questo concubinaggio tra mare estivo e mare d'inverno. Un mare che alcuni di loro infatti non riescono a tradire neppure nei mesi invernali, prendendo a loro scusante di controllare i retini, la barca da riparare o qualche altra bugia credibile o no... chi se ne frega se la moglie poi non ci crede.
Esse sono tutte dotate di cancelli multicolori e posizionate in seno a quella falesia, su cui appoggia le fondamenta il quartiere della Panoramica.
Abbarbicato, invece, lungo la sua dorsale, vediamo lo stradello di cui parlavo inizialmente nella precedente puntata, appena tracciato, con le persone che salgono o scendono e che viste dal mare sembrano piccole formiche intente a spostarsi in un loro itinerario ben definito.
Avanti, piano, leggermente a babordo, quel giusto per allontanarci dalla costa, evitando così lo sperone su cui si apre la Grotta Azzurra 
La zona della Grotta Azzurra
vista dall'alto
. Non sarà certo quella di Capri, non ci si entrerà con la barca, ma sarà forse per quella sua poca profondità in seno allo sperone o per quella dell'acqua, per un gioco di alghe, o per la luce del sole che batte sugli scogli, sta di fatto che in certi momenti fa si che si possa veramente fregiare di cosi pomposo titolo.
Ed ora per quello che andremo ad ammirare, ammainiamo una vela per rallentare la velocità. La musica dello sciabordio dell'acqua scende di qualche tono, la carezza del vento sulle vele si fa ancor più delicato ed a guadagnarci da questo rallentamento è l'attenzione che si sposta tutta sullo spettacolo naturale che scopriamo a dritta.
La prima cosa che salta agli occhi, guardando dal mare verso terra, è la maestosa “Segiula del Papa” 
per noi anconetani
questa è la segiula del Papa
come gli anconetani veraci, da generazioni, l'hanno battezzata. Uno scoglio, che i marosi nel corso dei secoli ha arrotondato degli spigoli più acuminati, dandogli appunto la forma della sedia gestatoria. Ad ammirarla dalla spiaggia, invece, la seconda serie di grotte che i Grottaroli, ci tengono alla specifica, “del Passetto”, hanno costruito.
Se queste bellezze sono valorizzate dalla luce del sole ed ammirate dal mare, non si possono dimenticare di osservarne alcune di quelle che Ossidi ha voluto immortalare quando erano immerse nella suggestività della notte estiva anconetana ed ammirate da terra,  
L'Ascensore visto di notte
come L'Ascensore


Il Monumento ai Caduti visto di notte
O come il Monumento ai Caduti che nella sua candida pietra d' Istria, si staglia nel nero della notte e che ti potrebbe suggerire: ma che bella immagine in bianco e nero, se solo, invece a svelare l'errore, non ci fosse il giardino in primo piano, ripreso nei suoi colori originari, seppur notturni. 
Ma per rientrare nel nostro virtuale itinerario, riportiamo le icone del nostro viaggio alla luce del sole e nei colori che madre natura ha loro donato e che Ossidi , ha esaltato.

Il Monumento ai Caduti visto di giorno
Replichiamo allora l'immagine dell'Ascensore 
L'Ascensore visto di giorno
nel suo colore verde-celeste pastello, baciato dal sole e del Monumento ai Caduti, il cui bianco immacolato della pietra 
rispecchia i raggi del sole abbacinando chi lo guarda. Ma se osserviamo quello che per antonomasia viene definito “El Monumento”, non ci può assolutamente sfuggire un suo componente: l'ampia scalinata 
La monumentale scalinata che dal Monumento scende fino al mare
che porta alla sottostante spiaggia semicircolare.
Guardando dal mare, a destra l'occhio va verso l'Ascensore ed a sinistra verso la palafitta su cui è posto l'unico stabilimento balneare attrezzato
Lo Stabilimento balneare
con tanto di cabine, ombrelloni e tutto quello che necessita a chi non vuol perdersi tutti i comfort, ma neppure la spiaggia con quel pizzico di rustico-selvaggio che tanto piace.
Non molto distante, troviamo il terzo blocco di grotte, definite "della piscina", in quanto perpendicolarmente costruite proprio sotto dove è posizionata la piscina. Anche qui non poteva non mancare uno stradello che scende dal parco della piscina fin sotto la spiaggia.

Gli Scogli lunghi
 e sullo sfondo l'Ascensore
  
Le grotte sotto la piscina
Uno sciabordio, un gorgogliare d'acqua, uno spumeggiare a pelo d'acqua a babordo (a sinistra guardando la prua) sta ad indicarci che stiamo passando nel canale tra la costa e gli infidi Scogli Lunghi. Con infinita  attenzione ci passiamo. Questi scogli ci annunciano che stiamo per entrare in località Pietralacroce

E se incontriamo una spiaggia, delle grotte, tranquilli che deve pur esserci uno stradello, una scalinata o come in questo caso, un sentiero : in questo caso è quello della "Scalaccia".
Scalaccia e le sue grotte

Oggi il quartiere di Pietralacroce, una volta zona agricola abitata da pochi contadini, neppure un paese, ma un piccolo borgo periferico, è stato promosso a dimora di quell'Ancona bene, che si è trasferita con il tempo, da quell'ormai, quartiere de “la fetina” del Viale, divenuto per lei troppo borghesizzato.
Issiamo di nuovo la vela che avevamo ammainato, perché ora le distanze tra una spiaggia ed un'altra si fanno un po' più lunghe.
Quello che andremo ad incontrare ora è un nuovo blocco di costruzioni di grotte, queste scavate dai pescatori-agricoltori di Pietralacroce, almeno come io li ricordo.
Cosa importante da ricordare che è da Pietralacroce che parte l'area del vero 
So Mo scio li... e guai a chiamali cozze.
Avvisati è !!
Mosciolo D.O.C. Area che arriva fino a Portonovo. 

Tutto il resto dei pescati sono solo e semplice cozze. 
Motivo? Forse l'acqua, credo! Di certo però è il sapore!! 
Il modo migliore di gustarli, almeno quello di una volta, era di aprire il guscio  con un coltellino, staccare ben bene da questo el ciciolo, spruzzarlo con il sugo de 'na fetina de limò, ciuciarli 'n te la boca ehhh... mastigarli molto, ma molto lentamente, immagazzinando nelle papille gustative tutta la loro bontà. Operazione che solo dopo essertene mangiati chili e chili, con l'andar del tempo ti farà comprendere la differenza che passa tra cozze e moscioli. 
Oggi l'acqua sembra pulita, ma effettivamente si sa che ciò non corrisponde alla realtà. Ed allora la ricetta migliore attuale è quella di cuocerli e condirli, ma con il minor numero di ingredienti possibili, perché, regola prima, "se deve sempre sentì el sapore del mosciolo e ' prufumu de mare". Se nun te vanne 'ste carateristighe, te consijo de magnà la cicia!! 
Ohh, poi sei sempre libero di seguire i consigli dei cuochi multi stellati. Ma, per imparà a cucinà ' pesce, bisogna vive per un po' de tempo su un peschereccio. 
Alla fine non ti daranno una laurea, ma ti farai un sacco di amici che ad ogni rimpatriata ti diranno :" Se facciamo pesce, però dopo cucini tu!"

Cundimenti poghi:
oio, erbette, aio per chi cel vole e sugo de
limò.
Questa digressione culinaria, mi porta alla memoria di quando i contadini-grottaroli, attenzione che parlo degli anni '60, scendevano lo stradello armati di forcone o di vanga, strumenti di pesca riveduti e corretti che essi usavano per andare a pescare i moscioli, dal momento che erano diversi coloro che non sapevano nuotare. Quindi neppure a pensarci a fare i “fiati”. 
Poi una volta raschiati gli scogli, seduti tranquillamente a riva, facevano la cernita di quelli più grossi, rigettando i più piccoli nuovamente in acqua. Altra operazione era quella della "raschiatura". Li pulivano così e li lavavano con l'acqua di mare fino a togliere tutte le impurità sul guscio, facendo brillare nel loro lucente nero. Verso mezzodì, risalivano la Scalaccia con i sacchi o i bidoni pieni del pescato, unitamente agli "attrezzi della pesca", certi che ad attenderli c'era la loro vergara, che nel frattempo aveva messo a bollire l'acqua, per farci su due spaghetti con il pescato debitamente pulito e quasi pronto per condimento alla rabita, coto e magnato.

Se vorrete... Continua...





Testo di : Franco Giannini
Foto  di  : Mauro Ossidi

2 commenti:

www.dariopetrolati.it ha detto...

stupendo tutto copio e porto a casa,
ciao Franco...
dario.

Franco Giannini ha detto...

Grazie. Sto preparando l'ultima puntata
che ti condividerò. Le foto sono
bellissime.
Un abbraccio
F.