di Franco Giannini già pubblicato su 60019.it
... tre stanze interamente destinate ad ospitare i suoi lavori!
L’ultimo giorno disponibile per poter apprezzare i lavori di Riccardo Gambelli, in arte Niny, sarà il 2 Ottobre del c.a. La logistica, le sale del Palazzo del Duca, sito nell’omonima Piazza. Riccardo mi aveva informato dell’avvenimento per tempo, invitandomi a vedere queste foto; molte di queste le avevo già vedute, in quanto pubblicate sul libro di cui Riccardo mi aveva fatto omaggio.
Ma vederle esposte nel loro formato naturale (credo un 30x40, ma non vorrei sbagliare) è tutt’altra cosa. La medesima differenza che c’è, per uno sportivo, nel guardare una partita di calcio in TV o assistere dal vivo all’incontro da una curva dello stadio!
Incontro Gambelli in cima allo scalone che introduce nella Stanza del Trono, quasi come un padrone di casa in ansiosa attesa di annunciati ospiti in ritardo. Appena mi vede, mi accoglie con un largo soddisfatto sorriso. Saluta porgendomi quella sua grossa mano che stringendo la mia, che neppure è piccola, quasi me la “impacchetta”.
Ciò mi porta a riflettere, sul come quelle grossa dita, abbiano potuto lavorare così delicatamente su quegli obiettivi di ieri, affidati alla sola manualità del fotografo. Eppure, i risultati, inequivocabilmente, sono lì, appesi ai muri di quelle tre sale, che finalmente sono state a lui totalmente riservate.
Le immagini di campi coltivati si alternano a quelle di terreni brulli, estati assolate si contrappongono ad inverni rigidi e nevosi, marine tranquille a preludi di temporali, ruderi di case a barche sulla spiaggia e, nell’ultima sala non potevano mancare i ritratti ricordo della sua compagna di vita, sua moglie.
Non so se sia dovuto alla casualità, ma non credo, oppure, più probabilmente, ad uno specifico messaggio. Un voler significare, spiegare, che con la dipartita della sua consorte ebbe a cessare, quasi totalmente, la sua breve (una decina di anni), ma intensa carriera artistica. Il senso del dovere, della responsabilità familiare, prese il sopravvento su quella che era la sua passione artistica.
Terminate le prime tre stanze, la mostra prosegue con altre due dedicate ad altri fotografi artisti e, per una volta, il maestro Giacomelli sembra non certo relegato in secondo piano, ma pare quasi abbia voluto “far posto” all’amico Riccardo.
I due infatti sono stati legati da una profonda amicizia, tanto che Gambelli gli fece anche da modello: la foto che lo raffigura sul manifesto della mostra è infatti di Giacomelli ed il soggetto è proprio un Riccardo “giovane guascone”. In maniera reciproca, Riccardo diventava suo fotografo per i diversi fissi immagine in cui ritrae un Giacomelli dei primi tempi.
Ma Riccardo è stato anche suo assiduo compagno di esplorazioni ed escursioni fotografiche, quando non partecipava agli appassionanti scambi d’impressioni ed esperienze nel gruppo Misa, unitamente ad altri nomi celebri della fotografia del tempo. Basterebbe accennare solo a quello di Giuseppe Cavalli.
Arrivato che sono all’area dedicata alle opere di Giacomelli, con quelle sue immagini di terreni arati quasi in una geometria da lui studiata e voluta, quei suoi bianchi e neri forti, crudi, mi pongo una domanda: chi sia stato il primo che abbia potuto solo pensare che la fotografia di Gambelli “ricorda” quella di Mario e come, perché e per che cosa.
Torno a ripetermi, anche in questa occasione, che io non sono un critico, sono semplicemente un appassionato. L’impegno massimo in cui mi sono profuso, fotograficamente parlando, è stato quello di fermare qualche immagine e neppure con una macchina fotografica, ma con il telefonino. Per me gli Asa, i Din, la focale ed altri termini, li conosco solo per sentito dire. Però quando vedo una bella foto, mi soffermo a guardarla quasi dovessi scovarne chissà quali segreti. Una deformazione, diciamo, un po’ relativa allo scrivere a livello hobbistico, naturalmente, Ma mai e poi mai vorrei che le mie sensazioni fossero scambiate per un atteggiamento ambizioso di valutazione critica, perchè non ne ho assolutamente le capacità. Quindi, queste mie, sono solo impressioni di un semplice profano appassionato.
Fatto questo volo pindarico, ma doveroso, per evitare poi malintesi, ritorno al punto in cui mi formulavo la domanda sul chi fosse quel colui che per primo...
Ho sentito allora, per cercare di capirci di più, il bisogno di ritornare indietro a rivedermi i lavori di Gambelli.
Le sue foto, mi sono sembrate immagini “istantanee”, genuine, cotte e mangiate. C’è il colpo d’occhio dell’artista, ma non ancora quella professionalità artistica del costruire la foto, con quella “malizia” che l’esperienza con il tempo, poi concede in dotazione, ma che lui non ha avuto il tempo per appropriarsene. La sua fotografia tende prima di tutto, quasi a preoccuparsi di fissare l’immagine che poi fungerà da narratrice al fatto di cronaca immortalato, come fu quella volta per “l’incendio in cascina”. Eppoi i bianchi e neri di Riccardo, sono solo delle scale di grigi che variando nelle loro intensità, donano alla fotografia tonalità variabili di una ricercata morbidezza.
La grandezza, invece, di Giacomelli, sta proprio nel fissare quelle costruzioni, che per la sua abilità di ricerca, come dicevo sopra, sembrano quasi commissionate per realizzare il suo lavoro. Immagini fermate con due soli colori: il bianco ed il nero, dove il colore grigio è perfetto sconosciuto. I soggetti, poi, sono quelli logicamente che il posto offre: campagne, marina, personaggi dell’entroterra e quelli cotti dalla salsedine, vele e relitti di barche...
Ma se quelle che saltano subito agli occhi sono quella cinquantina di opere fotografiche incorniciate ed appese nelle tre stanze, sarebbe come commettere un grosso sacrilegio se il visitatore si lasciasse sfuggire le vere chicche contenute nelle teche. Quasi che fossero opere di minore pregio, vengono definiti semplicemente “Provini”.
Per me ed esprimo sempre un parere personale, sono opere invece, ancora di maggior valore, perché istantanee, riprodotte con l’uso del bromografo attraverso il contatto pellicola-carta, di uno scatto al naturale, nudo e crudo, da tagliare poi, e tutto da lavorare. Ma anche vero è, che in quelle foto color seppia, ingiallite dal tempo, c’è la storia di Senigallia e dei suoi personaggi e fatti di 50 anni fa.
Terminiamo il percorso e mentre ci stiamo salutando, augurandoci di rivederci alla prossima sua mostra, magari con i suoi innumerevoli “provini”, lo lascio giusto in tempo per fare una nuova visita in compagnia del Sindaco ed alcuni Assessori appena giunti... ed allora uscendo mi chiedo se Gambelli avrà la forza di sfruttare l’occasione per auto-promuoversi con le persone adatte ad un nuovo evento: e questa volta per 3 stanze di “Provini”.
Nessun commento:
Posta un commento