di Franco Giannini
Si era aperto ieri pomeriggio alle 16,45 nell'Auditorium di San Rocco, il Convegno di studi su Alberto Zavatti, per chiudersi alle ore 20 circa. Tre ore e più trascorse con un'attenzione alterna tra il molto e lo scarso interesse. Non certo per l'argomento trattato, ma per l'oratoria di chi era preposto a non abusare di quei minuti programmati e preziosi, la cui scarsità venutasi a creare, sono così ricaduti, sulle spalle degli ultimi, che ultimi poi al fine dell'interesse che hanno suscitato, così non erano. Dico ciò, perchè di 12 persone che hanno preso la parola, ritengo che solo 7 abbiano colto la completa e continua attenzione del numeroso pubblico presente. Gli altri, un pò per la monotonia del porsi, un pò per la tematica scelta, più che l'interesse del pubblico hanno suscitato solo dei semi trattenuti sbadigli, in parte celati graziosamente da mani educate. Del resto, capisco che si può essere altamente preparati in una materia, ma non lo si può essere nell'arte dell'oratoria, perchè questo è un dono gratuito della natura. Nel volantino promozionale del Comune, leggevo che questo Convegno di Studi è stato promosso per ricordare e valorizzare la figura di quello ricordato, erroneamente, come il primo Sindaco di Senigallia. Altri lo hanno preceduto, ma nessuno è ricordato con pari affetto e rimpianto. Ricordare si, valorizzare un pò meno, perchè la figura di Zavatti si è auto-valorizzata da sola, senza le parole dei posteri che possono sempre suonare come di retorica, anche se non lo sono, bensì per la concretezza dei suoi "fatti" che gli anziani del tempo ben ricordano. Poche erano infatti, le persone presenti in sala con un'età inferiore ai 45 anni, tutti gli altri avevano i cappelli grigi, se li avevano. Molti erano coloro che avevano vissuto quel periodo e che erano testimoni ed elettori del tempo, che lo avevano votato e riconfermato non per la sua idee politiche, ma per il contributo che aveva profuso, traslando la città di Senigallia dalle macerie della guerra a quelle altrettanto difficili della ricostruzione. Un uomo, che oltre a sindaco, come lo ha definito l'attuale prima cittadina Luana Angeloni, fu un "comunista anomalo" per quei tempi, perchè non schiavo delle idee di partito. Fu per tutti i senigalliesi il "sindaco della speranza". Fu, come lo ha definito l'ex sindaco Giuseppe Orciari, il "sindaco del popolo". Un uomo che era nato in un'umile famiglia, come ha avuto modo di sottolineare, illustrandoci in modo ampio ed interessante il Prof. Marco Severini docente all' Università di Macerata, le opere e la vita di un figlio del popolo. Brevemente: rimasto orfano di entrambi i genitori in giovanissima età, uccisi dalla terribile "Spagnola", viene affidato a degli zii, trasferito per un breve periodo in Egitto, poi riportato in Italia e consegnato ai nonni per essere in breve tempo rinchiuso in un colleggio-orfanotrofio. Uscito, impara il mestiere da sarto, a soli 30 anni incontra casualmente al Bar Columbia un certo Maderloni, anconetano ed esponente dell'allora PCI che lo invoglia ad entrare nella militanza di partito e da qui comincia la storia politica che tutti i senigalliesi di lui conoscono. Solo, a testimonianza della sua ferrea volontà, il conseguimento del diploma della scuola dell' Avviamento, conseguito dopo aver sostenuto l'esame con l'allora prof. Paci, altro personaggio amato dai vecchi senigalliesi. Era prima di tutto il Sindaco di tutti, mai dimentico che il suo posto era in mezzo al popolo che lo aveva eletto, ed infatti non era difficile trovarlo seduto al bar, in momenti che credeva di ritagliarsi come pausa lavorativa, circondato di cittadini che approffitavano di quelle occasioni meno ufficiali e burocratiche per chiedergli consigli e favori. Mai che si sia tirato indietro. Partiticamente, era un uomo che, malgrado facesse il sarto, era nudo di quel "Culto della Personalità" tanto caro ai politici di allora, ma aggiungerei, anche a quelli di oggi. Un uomo che era nato povero, che morì povero e che giunse a rifiutare una "Poltrona in Parlamento" che avrebbe assicurato una tranquillità economica a lui ed alla sua famiglia. Per questo è da ritenerlo un uomo di vecchio stampo, quello stampo di cui forse ne abbiamo perduto il modello.
7 commenti:
L'omaggio di una verbale foto sbiadita nel nero di seppia del tempo, scattata da un suo concittadino e testimone dell'epoca:
di Dario Petrolati
LA FINE DELLA GUERRA A PIAZZA PADELLA
A lei portavo libri
per lei coglievo fiori
con lei guardavo il cielo
a lei regalavo stelle
Foglie secche di prato
versi sciolti dalle onde
mura di case piccole e colorate
strade strette,senza toccarsi,
formavano una piazza sghemba
Il primo discorso dopo la Liberazione
da una finestra umile senza tendini
qualche seggiola,sparsa e scolorita,
di povero vecchio legno.Appena illuminati
quattro abitanti del quartiere
ascoltavano ZAVATTI
Senza capire,forse,ma contenti
ed orgogliosi.
Pace,solidarietà,futuro,
Quanta e quale vita sognavano
( in dialetto ? )
Il treno sfrecciava forte e fastidioso.
Per sempre interrompeva un sogno.
Che forse è stato.
Padova domenica 31 Agosto 2003
( ricordo di Senigallia minima )
ho seguito qualche intervento, ma a suscitare interesse ci vuol ben altro
forse quando pubblicano gli atti del convegno...
Credo ormai di essere uno dei pochi reduci del fatto:il discorso di Zavatti a Piazza Padella
Per l'anagrafe è giusto ricordare puntualizzare che ero l'unico bambino,gli altri, il popolo, la gente , erano già vecchi allora.
L'unico teste ancora vivo,comunque Piazza Padella conteneva pochissima gente, era o fu una Piazza solo di nome,troppo piccola diciamo slargo fra poche case.
dario
Purtroppo io non c'ero quel giorno lì quando avete ricordato Alberto Zavatti.
Ci ha pensato il mio ottimo-obiettivo amico Franco a relazionarmi contarmi quanto è stato detto in simile frangente.
Ho cercato di far sapere quanto altruista ed onesto sia stato Il Sindaco,chè seppur bambino io ricordo di Lui che sempre aiutò chi aveva bisogno.
Era passata da poco la guerra e su in Comune Zavatti ed Ubaldo Bucci( si quello delle Corriere con il passato - presente in camicia nera)da persone per bene aiutavano chi anche di poco si accontentava.
A me ragazzino per tre estati permisero che facessi il fattorino alla succursale della posta, di mattina,così potei comprare la Legnano da Fucil in cima al corso.
In piedi e seduti Zavatti ed Ubaldo oppure Ubaldo e Zavatti alleviarono tristi sacrifici ai Senigalliesi, sempre col sorriso e mai con rancore o interesse nascosto.
Ero piccolo ma ricordo che Zavatti aveva una modesta sartoria in cima al Corso,dove stava la Pina Paolini ,che staccava i biglietti al cinema Rossini.
Cordialità,
dario.
....ed allora, Dario, devo anche doverosamente aggiungere che il Sindaco Luana Angeloni,in apertura del Convegno, ti ha ringraziato pubblicamente per il contributo dato come testimone dell'epoca nonché in qualità di studioso del Centro Studi Luccini di Padova!!
Cari amici,
non sono potuto andare a questo convegno ma forse (dite voi), ho perso poco.
Pur essendo però io nato, quando Alberto Zavatti morì la sua presenza mi ha accompagnato come un'ombra benevola durante tutta la mia vita da cittadino senigalliese.
In vari periodi della mia vita ho frequentato la sezione PD di Senigallia. Ci ho pure lavorato per una campagna elettorale, e ho contribuito nel 1992 all'elezione di Luana Angeloni al Parlamento.
In quei saloni all'interno di Palazzo Gherardi aleggiavano ancora i fantasmi di vecchi compagni come Addo Panni e Alberto Zavatti che popolavano i racconti dei superstiti come Giorgio Camillini o Duilio Marchetti.
Devo essere sincero. In quel mese di "lavoro" alla Sezione ho incontrato quasi esclusivamente gente splendida che probabilmente non mi ricorda per niente.
Tutti mi hanno trattato come uno di loro, anche gente di settant anni come Crivellini o Felici che arrivavano la mattina e si mettevano lì a parlare con me di fascisti e partigiani, di agguati e rappresaglie, di politica e vita cittadina.
Se mi azzardavo a dare a qualcuno del Lei questi mi redarguivano dicendo "Ninin' n'c'da del lei ch machi dentra sen tutti uguai....".
Andavamo poi in giro con la macchina ad annunciare i comizi nelle frazioni con i compagni che finito il lavoro spendevano il loro tempo per il partito.
E in tutti questi frangenti Alberto Zavatti c'entrava sempre.
"T'arcordi c'la volta quant Zavatti...." oppure "Ah si c'foss stat Zavatti....".
Un mito per quegli uomini, una persona credo di raro carisma che rischiò la vita per un ideale di libertà.
Alberto Zavatti poi lo ritrovai anche nei racconti di un mio amico, Marco Pergolesi, che mi riportava i racconti di suo nonno Addo Panni, che assieme a Zavatti guidava i partigiani di Senigallia.
Mi raccontava delle riunioni tra capi partigiani in un moscone in mezzo al mare e delle gesta di questi uomini semplici destinati loro malgrado a diventare eroi....
Finita la guerra tutti tornarono alle loro vite di tutti i giorni rifiutando come nel caso d Zavatti, incarichi prestigiosi.
Se non sono eroi questi....
Grazie Quilly,
delle belle stupende parole,COSE-FATTI-,io non sapevo supponevo del tuo passato
Si sente da come ti esprimi che sei persona sana.
Grazie e tantissimi auguri,
dario.
Posta un commento