La vicenda di Stefania Vanini "introduzione" per una di uguale drammaticità: quella di Christian Cialona
Venerdì 27 maggio la sala del Cinema Gabbiano era abbastanza affollata, considerando il tipo di evento che si sarebbe andato a presentare. Pubblico composto in maggior parte, da persone, definiamole così, non più giovanissime. Ma evidentemente con l’animo maggiormente preparato e predisposto ad ascoltare e recepire problemi di alcuni fisicamente meno fortunati di noi.
Anfitrioni della serata, Luca Pagliari, giornalista e concittadino, nonchè il Presidente del Lions Club di Senigallia, il Sig. Loris Cucchi.
Comprensibilmente, Luca, la prende un pò alla larga, affermando che una storia non fa spettacolo, è solo una storia. Che la comunicazione vive per obiettivi e che quello che conta alla fine è il così detto indice di ascolto: lo share. Uno share che tende ad appiattire il mondo della comunicazione qualitativamente parlando.
Oggi fa più notizia una vicenda di Corona, che un omicidio come quello del Sindaco Angelo Vassallo, che dovrebbe farci riflettere e domandarci come e perchè invece, non scopriamo maggiormente quegli eroi che lavorano, in silenzio, per la legalità.
Le "storie" acquistano interesse si per i loro contenuti ma anche, a volte, dal come e da chi ci vengono raccontate.
E’ la "storia" di Stefania Vanini di Baceno (Domodossola) anno di nascita 1970. Non è per un caso che ci viene presentata da Pagliari con delicatezza, pudore, ma senza pietismo, perchè sa che così facendo, riuscirà a soffermare su questo racconto 90 minuti di assoluta e partecipata attenzione. Ci racconta dei primi anni d’infanzia di Stefy, della scoperta dei primi problemi fisici che vanno di anno in anno peggiorando, del trasferimento dal suo Baceno, incastonato a 700 metri sulle sue montagne, per scendere in città dove i suoi genitori ritenevano di trovare medici più preparati. Ed il tutto viene intercalato da diapositive e filmati di una natura incontaminata, ma che ai fini comunicativi, da quel senso di leggerezza, allegria e caparbietà, che i montanari e la nostra l’eroina, hanno nel loro DNA.
Poi i vari passaggi che la portano dal sostegno sotto braccio nel corso della deambulazione, alle stampelle ed infine a quella sulla sedia a rotelle. Sedia che logicamente, anche se ha sempre mal digerito, non le ha però impedito di girare il mondo.
La malattia che i medici le avevano diagnosticato era "atassia" ovvero perdita del coordinamento dei muscoli e da qui la difficoltà di deambulazione.
Sapientemente, Luca, sa inserire nei momenti opportuni tra le pieghe del racconto, personaggi che hanno fatto parte della vita di Stefy. Flash allegri quali ad esempio, la sua capretta Pepe che incorna il fondo schiena di chiunque gli giri le spalle o il suo cane fedele. Ma anche ricordi che, se da un lato sono curiosi, dall’altro fanno riflettere sul problema dell’handicap, come quello del rifiuto ricevuto all’ingresso di una pizzeria, perchè il suo incedere sulle gambe era insicuro ed aveva fatto ritenere al titolare che fosse ubriaca. Cosa che una volta chiarita, lo stesso titolare aveva riparato con il dire che lui agli handicappati la pizza la dava gratis.
Poi si giunge alla connessione di Baceno ad Internet. Un avvenimento insignificante per alcuni, ma che sarà di basilare importanza per la nostra eroina, perchè le permetterà di fondere la tecnologia con tutta quella sua determinazione nel non rinunciare all’idea di rimanere per tutta la vita su quella sedia a rotelle. Non dandosi per vinta col piangere sui suoi dolori, ma iniziando un periodo di ricerca tecnologica. Anche se il tempo passa, il sorriso rimane sempre vivo sul suo viso, mai intaccato dalla rassegnazione.
Ed ecco che un bel giorno, navigando su internet appunto, aggiunge nelle sue ricerche o meglio antepone alla parola "Atassia" quella che sarà poi fondamentale alla sua diagnosi la parola "Sospetta". Scopre così che se questa fosse la sua reale malattia, "Sospetta Atassia", il suo problema avrebbe potuto essere superato con la semplice assunzione di una pasticca.
E qui c’è una specie di comunicazione di servizio per i navigatori della rete: un suo invito a non assumere mai e poi mai, medicinali di cui si fa menzione, se non dopo averne parlato con un medico e solo dopo aver ricevuto la sua autorizzazione. Assumere medicine fai da te è assolutamente sconsigliabile e può solo aggravare la situazione. Importante è il colloquio tra medico e paziente attraverso lo scambio di informazioni.
La sua storia continua con la richiesta, come suggerito su internet, dell’esame del DNA, che la porta però ad una attesa di altri due anni e poi il ricovero in ospedale, perchè solamente in struttura sanitaria i medici si prendono l’impegno a testare la somministrazione del farmaco, voluta dalla Stefy con caparbietà.
Dopo poche ore dalla somministrazione della prima pasticca di "Madopar" (un farmaco usato dai malati di Parkinson) ecco il miracolo di poter camminare sulle sue gambe, anche se ancora traballanti, lasciando definitivamente, dopo 32 anni, si trentadue, non è un errore di battuta, la sua sedia a rotelle.
Come ha modo di sottolineare a fine racconto Luca, Stefania ha sempre provato un gran fastidio a parlare di lei, avere l’attenzione dei media. E se alla fine ha accettato tutto questo, lo ha fatto affinchè le sue esperienze fossero messe a disposizione e giungessero utili ad altri nelle sue stesse condizioni. Impegno, il suo, che ha dato i suoi frutti.
Attraverso le sue esperienze e suggerimenti infatti, hanno tratto beneficio una bambina di Roma ed una signora di Verbania. Tantissimi sono coloro che le telefonano per avere suoi suggerimenti. Ecco quindi il perchè di queste sue presenze alle rappresentazioni giornalistiche-teatrali, malgrado la sua riservatezza le consiglierebbe di non apparire.
E questa di Stefania è una storia reale che si è conclusa bene, come del resto si vorrebbe che si concludessero sempre tutte le storie, quasi che fossero delle fiabe.
Ma a volte, ed anche spesso, la realtà della vita di tutti i giorni non si conclude in modo positivo, e quelle che si vorrebbero fossero fiabe per l’inevitabile positiva conclusione, invece si scoprono che sono delle tragiche realtà. Realtà che vanno affrontate con coraggio, senza abbattersi, lontani da pietismi che vanno rigettati sempre al mittente.
E la nuova storia, introdotta da Luca, riguarda il piccolo Christian, o meglio l’intera famiglia di Christian. Sei anni, nato a Senigallia e residente con mamma e papà a Montemarciano. Pagliari li invita a salire sul palco tutti e tre. Per loro non c’è il fondale con le montagne, come pure non c’è né il mare né la nostra immancabile Rotonda.
Christian, mamma Emily e papà Sergio, con la loro immensa dignità ed il loro grande coraggio occupano tutto quel palco rendendo quasi piccolo lo spazio a disposizione.
"Rubano" quasi (e la cosa non è che sia poi così facile) la parola al bravo Luca, che si adegua al ruolo di spettatore, quando Sergio prende a spiegare la sua o meglio la loro storia.
Christian è un bambino disabile, affetto da una malattia rara da un nome per noi difficile da scrivere e ancor più pronunciare: Malattia di Pelizaeus-Merzbacher e per la serie, le sfortune non vengono mai da sole, anche una delle forme più rare.
Dopo pochi mesi di vita, le sensibilissime, naturali, onde magnetiche che legano sempre la mamma al proprio figlio fanno percepire ad Emily, la strana sensazione che in Christian ci siano strani sintomi che la preoccupano e la mettono in agitazione.
Una mamma ed un papà che fanno in questi casi, se non portare il piccolo dal loro pediatra di fiducia? Pediatra che però li rassicura: i sintomi riscontrati rientrano nella normalità per i bambini di quell’età.
"Fortuna" vuole, che la famiglia cambi residenza e, di conseguenza, anche il pediatra di fiducia. I problemi che perdurano portano il piccolo dal nuovo pediatra che appena lo visita nota delle irregolarità e prescrive una serie di accertamenti. E da quel momento, comincia quello che viene definito da Sergio il nostro "Lungo Calvario".
I ricoveri nei vari ospedali regionali e nazionali, esami, risonanze fecero si che si diagnosticasse la sospetta Paralisi Cerebrale Infantile: la terapia? semplicemente il consiglio di fare fisioterapia. Ed a questo per due anni si sono attenuti, ma, come Stefania, non si sono chiusi in loro piangendo sulla loro disgrazia, non si sono mai dichiarati domi e non hanno accettato, mai, i giudizi definitivi della nostra classe medica.
Decidono allora di portare Christian in California a San Diego dove hanno modo di incontrare la D.ssa Viola Frymann (che Emily e Sergio battezzano affettuosamente con l’appellativo di "nonnina" vista l’età) che è una seguace della medicina osteopatica che sembra procurare dei miglioramenti.
Si ritorna quindi in Italia e si continua a seguire queste cure dagli osteopati nazionali; ma questi genitori vogliono di più per il loro Christian. Avendo quindi dei parenti in Canada decidono di andare a Toronto dove c’è una clinica all’avanguardia il "Sick Children".
Ed è qui che si scopre, grazie all’esame del DNA, che il piccolo non è affetto da Paralisi Celebrale, bensì dalla forma di leucodistrofia sopra accennata, una malattia degenerativa ovvero destinata ad aggravarsi con il tempo.
Dal momento del referto definitivo, tante cose sono venute a mutare nella vita di questa famiglia, ma sia Sergio che Emily le raccontano con il viso sorridente di chi è in pace con la propria coscienza e di chi vive questo disagio (non più disgrazia) con quell’ottimismo, quel coraggio e quella dignità che forse solo la loro giovane età gli permette di possedere.
Sergio ha perduto da diversi anni il lavoro, quando dovette andare in Canada. Emily invece ha voluto battere il record da Guinness dei primati in materia di mala sorte famigliare. Infatti anche a lei viene riscontrata la stessa malattia di Christian. Considerando che trattasi di già di malattia rara e come tale le casistiche si contano in una mano in Italia e nel loro caso hanno colpito nella stessa famiglia due di loro; considerando che solitamente la donna è solo colpita come portatore sano; considerando che solitamente, ad essere colpiti sono soggetti maschili, non rimane che dire che la fortuna è cieca, ma la "sfiga" è dotata di una mira infallibile.
Descrivere i loro volti mentre raccontano tutto questo, è impossibile, visto la pacatezza dei toni, le loro espressioni sorridenti, quasi che raccontassero amene curiosità accadute ad altri, senza però mai tralasciare la continua attenzione che rivolgono a Christian impegnato, anche lui, nel voler parlare al microfono ed a sorridere felice quando gli riesce. Emily, ha già raggiunto un’invalidità dell’80%, ma è una giovane di bellissimo aspetto, con un fisico invidiabile, che fa la sua figura su quel palco. Ancor più quando prende il microfono per ringraziare il suo datore di lavoro che le ha permesso di trasferire quello che era il suo incarico, a suo marito.
E quando Luca gli pone la domanda su che cosa provi il mattino quando si sveglia, la sua naturale risposta mi porta ad avere la pelle d’oca: "Vedere il sorriso di Christian è per me un miracolo. Ogni mattina alzarsi, andare nella sua cameretta e vedere che respira è una vittoria. Che devo dire su di me, se non che devo combattere per me, per mio figlio e per la mia famiglia. Il non fare nulla sarebbe come dichiararmi vinta".
Una frecciata indirizzata ai "senza volto", alla fine, però Emily la vuol mandare egualmente specificando perchè anche la sua famiglia, come Stefania è lì: "Siamo qui per sensibilizzare l’Opinione pubblica. Per la Ricerca, noi delle malattie rare, siamo il Nulla. Questo perchè da noi, non c’è ricerca. Noi rispetto a quanto ho visto negli altri paesi siamo in notevole ritardo. Vogliate scusarmi per la mia nota polemica".
Cara Emily e caro Sergio, la vostra non è polemica è semplicemente un’analisi dei nostri comportamenti, come aveva cominciato a dire Luca, quando parlava dell’indice di ascolto.
Oggi viviamo in questo tipo di mondo fatto di "belle storie", perchè portate avanti con infinita dignità e silenzioso sacrificio da "belle persone". Magari mentre il nostro vicino spende e spande quattrini in beni voluttuari, inconsistenti, inutili quando non... peccaminosi o anche illegali.
Ma è vero che così dicendo, sembrerebbe che l’insegnamento impartitoci nel corso della serata, a me non sia assolutamente servito.
Invece assolutamente no! Mi è servito eccome, perchè sono riuscito a vedere che tra le innumerevoli mosche nere, fortunatamente ce ne sono alcune eccezionalmente di colore bianco. E nei casi trattati nel corso della serata, il Lions Club di Senigallia, nella persona del Sig. Loris Cucchi ne è il debito esempio. Grazie!
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